Qualche giorno fa stavo guardando lo spettacolo “Miserabili” di quel grande uomo di contenuti, nonché rugbista non dimentichiamocelo, che è Marco Paolini il quale concludeva la performance citando Gaber con il motto “libertà è partecipazione”. È partito subito un pensiero parallelo (gli inglesi la chiamerebbero stream of consciousness) che mi ha portato alla definizione di “felicità è condivisione” e poi ancora “vino è condivisione” ed infine, per la nota proprietà transitiva, valida in matematica quanto in logica, “vino è felicità”
Villa Favorita è stato un evento di condivisione ancora prima che di vino (che poi per l’assioma di cui sopra è la stessa cosa, no?). Un momento in cui ritrovare persone amiche e ritrovarsi immersi in un mare composto da sensibilità comuni e comunioni di intenti. Un luogo dove condividere la propria passione, le proprie idee e partecipare a quelle degli altri. Quindi ritornando su Gaber, un posto dove essere liberi e felici partecipando al vino degli altri. Ok, il giro è stato lungo e tortuoso, ma mi premeva che non si banalizzasse la bella fiera vicentina come la solita sagra di paese dove si va ad imbriagarse. Sarebbe irrispettoso per i numerosi produttori che da diverse nazioni europee hanno deciso di sobbarcarsi un viaggio anche lungo pur di versare nei bicchieri degli astanti le loro creazioni
Detto ciò, passiamo a temi più leggeri partendo dalla location, la pregevole villa da Porto detta La Favorita, da cui il nome della manifestazione. Ubicata nel paese di Monticello di Fara sopra un piccolo pendio vitato, la villa è una cornice veramente d’eccezione dove degustare vino. I produttori affiliati a Vinnatur coinvolti quest’anno sono stati ben 138 che, oltre che dall’Italia, provenivano da Francia, Spagna, Slovenia ed Austria. E proprio da quest’ultima nazione è iniziato il mio giro di degustazione, col primo acuto già al secondo assaggio: i Grüner Veltliner di Sepp Moser sono vini di rara finezza. Dimenticate i pomposi Riesling tedeschi, qui siamo di fronte ad un nettare verticale, sottile, delicato, per niente invadente, ma assolutamente completo. Un vino piacevolmente riservato, per bevitori che cercano la gradevole compagnia di un sorso sereno ed elegante
Si passa alla Francia. Dalla nazione transalpina sono arrivati rappresentanti di tante regioni vinicole a fornire una panoramica molto interessante della produzione tricolore (quello col blu però). Menzione d’onore per un Beaujolai che tutto era fuorché nouveau. Questo è un vino che con mio, e non solo mio, grande rammarico non è più prodotto da un paio d’anni: il Les Ecoirets di Vins Debize. Un vino ottenuto da vigne di oltre ottant’anni, barbaramente estirpate per far spazio ad un’autostrada che qualche genio ha deciso di far transitare di là. Una triste storia che si ripete troppo spesso anche in Italia e che, nel caso di specie, ci ha privati per sempre della possibilità di assaporare un vino di carattere assoluto, di terra, di roccia e di uva. Un vino spiazzante per la sua integrità e commovente per la sua pienezza. Au revoir. La seconda etichetta da ricordare assolutamente è l’ottimo Pélo della domaine Le Petit Saint Vincent dalla zona che sempre più spesso regala bellissime soddisfazioni della Saumur Champigny. Un Cabernet Franc grandiosamente fine, praticamente ineccepibile. Tondo e succoso senza perdere l’acidità, non ha nulla da invidiare ad AOC ben più blasonate e chiacchierate
Infine la Slovenia (la Spagna per motivi di tempo non sono riuscito a farla) dove è il Terrano a colpire più forte (anche in senso organolettico). Un rosso del Carso, prodotto anche al di qua del confine, che di quelle terre aspre e pietrose riporta tutto il carattere. Tannini rigidi, acidità sull’attenti, ma è la sensazione di pietra che rimane particolarmente impressa, quella mineralità che non è d’idrocarburo, ma proprio di roccia, salata. Il Terrano di Vina Emil in Ken Tavcar è la perfetta sintesi di questi caratteri, con una vitalità strabordante (purtroppo non l’ho fotografato, in compenso inserisco una foto di un’altra etichetta francese da monitorare!)
Anche l’Italia sfoggiava un ventaglio di tutto rispetto con punte di grande pregio, ma ci sarebbe bisogno di un altro post intero per parlarne a dovere, senza fare torto a nessuno. Ma l’arduo compito di selezionare qualche nome è ineluttabile. Ecco allora che, per motivi diversi, mi sorgono spontanei tre nomi. Il Pignoletto rifermentato in bottiglia di Orsi vigneto San Vito che avevo incontrato sul mio cammino anche a Merano e che conferma in pieno i suoi punti di forza: freschezza, facilità di beva, e massima distanza dalla banalità. Seconda bella etichetta che a mio parere merita di essere scoperta è il Cerasuolo di Vittoria Principuzzu di Biscaris, un vino bello di grande freschezza e bevibilità, che ricorda tanto il mare siciliano quanto la sua terra calda. Per chiudere, sua eccellenza il Pinot Nero di Bressan che nell’annata 2006 massimizza le sensazioni di fittezza che lo contraddistinguono
Di nomi da fare ce ne sarebbero ancora per così, ma se volete scoprirli dovrete passare l’anno prossimo in quel di Monticello di Fara all’inizio di aprile…
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati
Ciao Daniele,
sono sempre stato dell’idea che il vino buono sia quello che piace e condividere le preferenze con altre persone del settore mi fa molto piacere (il Pelò me lo sarei bevuto a vasche)
Walter l’ho beccato all’ingresso che faceva l’indifferente e già che era lì di fianco mi sembrava giusto che assaggiasse qualcosa
A presto
Bel resoconto, che collima in molti punti con i miei assaggi.
Vedi Sepp Moser, il Saumur-Champigny Pelò, ma tanti altri.
Ma che ci faceva Walter Massa da Casa Caterina 🙂