Nella vita c’è sempre da imparare. Questa è una delle massime che mi sta più a cuore e che cerco di tenere sempre salda in mente, monito di umiltà ed al tempo stesso sprone alla curiosità e ricerca. Pensare di sapere tutto di qualcosa è superficiale e  miope e molto spesso ci impedisce di apprendere dalle esperienze che abbiamo l’opportunità di fare. Questo assioma vale a maggior ragione nel mondo dell’enogastronomia. C’è sempre qualche prodotto nuovo da sperimentare o qualche processo produttivo di cui si ignorava l’esistenza, per cui l’importante è restare sempre con le orecchie belle aperte

 

 

Sono stato qualche tempo fa in quel di Reggio Emilia, una zona a me molto cara in quanto vi si trovano vecchi amici, e ne ho approfittato per approfondire la conoscenza di un prodotto estremamente noto, ma spesso in maniera superficiale. Sto parlando dell’aceto balsamico tradizionale, piccola chicca gastronomica con una storia antichissima la cui prima traccia scritta risale addirittura al 1046. Un goloso tesoro che può essere prodotto esclusivamente nelle province di Modena e, per l’appunto, Reggio Emilia ed il cui processo produttivo è estremamente lungo e misconosciuto. L’interessantissimo viaggio alla scoperta di questa delizia l’ho potuto fare presso l’Acetaia San Giacomo di Novellara insieme al suo dinamico proprietario: Andrea Bezzecchi

 

 

 

Il primo punto fondamentale da chiarire è che il prodotto di partenza alla base del balsamico tradizionale (che è ben altra cosa rispetto all’aceto balsamico e basta) è il mosto e non il vino, quindi la fase fermentativa fa parte appieno del processo. Il mosto deve provenire esclusivamente da uve coltivate all’interno della provincia di appartenenza (quindi Modena o Reggio Emilia), generalmente Lambrusco o Trebbiano nelle loro varie declinazioni. La cottura è una fase molto delicata in quanto rappresenta la partenza del lungo ciclo che infine porterà al balsamico tradizionale. Essa avviene a fiamma diretta all’interno di paioli di acciaio, dura all’incirca 12 ore ed avviene a temperature piuttosto basse (90°/95°). Al termine della cottura il mosto iniziale ha già perso per evaporazione il 50% in massa risultando quindi denso e zuccherino

 

 

 

A questo punto partono le fasi di fermentazione prima ed acetificazione poi che trasformeranno il mosto in agro di mosto, un prodotto ancora piuttosto dolce e solo leggermente acido. Queste due fasi vengono svolte all’interno di barrique, quelle classiche utilizzate per il vino da 225 litri e da qui il prodotto viene prelevato per essere inserito all’interno di quelle affascinanti serie di botticelle chiamate batterie. Tradizionalmente le batterie sono composte da sette botticelle di capienza decrescente e di essenze differenti scelte oculatamente a seconda dell’impronta che si vuole dare al prodotto finale. Ecco allora che il cuore di un’acetaia, nonché la sua “cassaforte” si trova proprio nella stanza dove le batterie sono poste a maturare per lunghi anni (anche 40 anni) fino a quando, nell’ultima botticella, verrà prelevato il prodotto finito

 

 

 

Prodotto che sarà esaminato da una commissione di degustazione prima di potersi fregiare del marchio del consorzio che, a seconda delle caratteristiche organolettiche, potrà essere color aragosta, argento od oro. Un mondo interessante, limitatissimo nei numeri (fra i due consorzi, di Modena e di Reggio Emilia, la produzione totale è di circa 11.000 litri all’anno) e di grande fascino. Il balsamico tradizionale ha caratteristiche assolutamente uniche che trascendono la semplice acidità e che si ammantano di speziature, affumicature e note fruttate donate dagli anni, dal legno e dall’uva. Quando si assaggia per la prima volta il tradizionale si spalanca un mondo, è un prodotto che lascia il segno

 

 

 

Grazie mille Andrea per avermi fatto scoprire questo universo parallelo fatto di gioie gustative e grande dedizione, consiglio a tutti di sperimentarlo!

Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati

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