Ognuno sta solo sul cuor del Kurhaus. Il secondo pezzo su quel carosello di luci, facce e scintillii enoici che è stato il Merano Wine Festival 2013 riprende da dove ci siamo lasciati settimana scorsa, da “ed è subito Relax”. La prego o sommo poeta siciliano, in nome dell’amore che nutro per la sua terra natìa non mi fulmini dall’aldilà per l’uso improprio che faccio dei suoi struggenti, ermetici versi. Ma il secondo spunto di riflessione sul Festival è proprio legato al differente modo con cui può essere vissuto a seconda che lo si faccia da soli o in compagnia

 

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L’esperienza del Merano Wine Festival in solitaria è ermetica come la poesia di Quasimodo. Tende a concentrare l’attenzione sull’adesso, ad approfondire temi di ricerca cari a noi stessi, ad andare alla introversa scoperta di spiragli di luce più vivida nel mare magnum dell’affascinante palazzo meranese. È un’esperienza interessante, arricchente in quantità in quanto si riesce ad andare più veloci da soli, a visitare più produttori, a svuotare più calici, a scrivere più parole sul taccuino. Si riescono a scoprire vini delicatamente cesellati come il Cabernet (blend di Sauvignon e Franc) Riserva 2002 di Erbhof, che dava delle piste alla maggior parte dei messieurs  bordelais che stavano a pochi metri di distanza. Un vino che pareva la transustanziazione liquida del suo fautore, Josephus Mayr, umile e pacato, tecnicamente preparatissimo, profondamente atesino, con un limpido lucore di indefinita gioventù in fondo agli occhi

 

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In realtà a Merano non si è mai da soli, perché gira che ti rigira tanti produttori che hanno avuto la pazienza di ospitarti a casa loro, nella loro cantina, di rispondere alle tue domande, di farti camminare nelle loro vigne si ritrovano poi al Festival. Soprattutto in determinati padiglioni è un po’ come una felice rimpatriata, per me è stato così nell’area dedicata al Piemonte, zona che per vicinanza geografica e predilezione palatale (cit. maestro Oltolini) è spesso meta delle mie incursioni da enostrippato. Si riassaggiano vini che sono piaciuti, fatti da persone che ci hanno trasmesso nitidamente la loro umanità. Si ritrova il Barolo Baudana 2006 di di G.D. Vajra instradato verso una maturità che lo renderà un gran vino, dalla balsamicità spiccata e dal tannino che inizia a lasciar intravedere spiragli di morbidezza che fino ad un anno fa erano solo sperati. Lunga vita al Barolo di Serralunga

 

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Poi c’è il Festival vissuto in compagnia, quella compagnia caciarona e talora silenziosamente assorta che è tanto preziosa in occasione delle degustazioni, delle sbornie serali, dei raid in vigna e, in definitiva, ogni volta che c’è qualcosa di bello ed emozionante da condividere. Allora l’esperienza diventa meno quantitativa e più qualitativa (beh, sul quantitativo dipende da chi c’è in mezzo alla compagnia), perché condividendo le impressioni si ha veramente l’opportunità di crescere molto più in fretta che chiudendoci nelle nostre convenzioni e convinzioni. Nella fatica di cercare la giusta esternazione dei nostri pensieri e la più corretta interpretazione di quelli degli altri risiede la vera crescita personale in quel campo, troppo spesso sottovalutato, che è l’intelligenza relazionale. L’annosa e indipanabile questione sorta attorno a chi possedesse la maggior piacevolezza fra il Syrah Case Via ’97 di Fontodi ed il San Martino di Villa Cafaggio ‘99 è stato lo spunto per una discussione in cui, per citare le parole di un amico, “ho imparato di più stasera che in mesi di degustazioni”

 

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La compagnia aiuta anche a vincere le insicurezze che attanagliano tutti noi. Per uno che ha il terrore di essere al centro dell’attenzione ed è lontano anni luce dal padroneggiare la sottile arte del public speaking dover presentare uno show cooking di fronte ad un nutrito pubblico è un esercizio di vitale importanza. Che non sarei mai stato in grado di portare positivamente a termine se non avessi trovato dall’altra parte la genuina spontaneità della ciurma della Tenda Rossa di Cerbaia in Val di Pesa. Il sano concetto di cucina di Maria Probst, teutonicamente toscana, la spontanea spigliatezza di Natascia Santandrea e la calma sicurezza del fratello, nonchè compagno di Maria, Cristian sono stati un appiglio imprescindibile di fronte agli occhi curiosi ed indagatori del pubblico affamato

 

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Le parole ci sono state date per farne buon uso. Usarle per condividere i bei momenti che costellano la nostra vita con gli spiriti affini che si incontrano sul nostro cammino è un gradevole dovere a cui tutti noi dovremmo adempiere, e farlo con gioia, lasciandoci trafiggere da quei raggi di sole che sono i sorrisi degli altri

 

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati