La fuga dei cervelli è una gran brutta faccenda. Quando giovani brillanti sono costretti ad emigrare all’estero per avere qualche possibilità di emergere vuol dire che il Paese che non è in grado di ritenerli sta lentamente, ma neanche tanto, andando verso lo sfascio totale. Ciò è successo per tanto tempo, più in piccolo, nelle campagne della penisola italica. I giovini affascinati dalle luci della ribalta diffuse dalla città hanno abbandonato le campagne in mano agli anziani che strenuamente hanno continuato a coltivare la loro terra. Perché è la loro e perché è il lavoro che il loro babbo gli aveva insegnato
Per fortuna da qualche tempo sto assistendo sempre più ad un ripopolamento delle campagne da parte di giovani volenterosi e preparati che, magari dopo periodi di studio o lavoro all’estero, hanno deciso di tornare a dedicarsi all’attività che una volta era di famiglia e che, magari, stava per essere del tutto abbandonata: la viticoltura. In alcuna zone si sta assistendo alla rinascita dell’allevamento della vite ad opera di manipoli di giovani enologi ed agronomi che non ci stanno ad abbandonare allo sbando la terra dove sono cresciute generazioni di loro avi
Il Roero, fratello settentrionale delle Langhe, è l’esempio perfetto di questo fenomeno. Regione piemontese meno sotto i riflettori del più ingombrante vicino dall’altra parte del Tanaro, è qui che si stanno affermando piccole, grandi realtà condotte con intraprendenza da nuove leve del mondo del vino (ne avevo già parlato qua e qua). Ricominciare da zero è ancora più dura e ci vuole tanta testardaggine ed un pizzico di follia per provare a riprendere il filo di una storia centenaria ricominciando dalla terra, dalle viti e da un’azienda che vuole comunicare un modo nuovo e diretto di vivere il Roero
Questo è il caso di Valfaccenda, la nuova realtà condotta da Luca Faccenda, che si fonda su di una storia familiare secolare nel mondo del vino che Luca sta facendo rivivere proiettandola nell’oggi con un’immagine vivace e colorata. I vigneti sono ubicati nell’omonima Valfaccenda, oltre ad un piccolo appezzamento a Santo Stefano Roero, e quando decidono di stare su e di non franare, ospitano varietali autoctoni: Arneis e Nebbiolo. Perché un’altra delle caratteristiche della nouvelle vague di giovani vignaioli è anche il ritorno alle uve autoctone, dove possibile, e ad un vino che sia capace di trasmettere la storia del territorio da cui proviene
L’Arneis di Valfaccenda (in questo caso annata 2011) è ottenuto dall’assemblaggio di vini provenienti da due vigne: la prima è una vecchia vigna di circa 60 anni, le cui uve vengono lasciate fermentare spontaneamente senza aggiunta di lieviti selezionati e con macerazione sulle bucce. La seconda è una vigna più giovane esposta ad est e dalla quale si ottiene quindi un’uva più profumata, dal corpo più esile e con maggiore acidità. Il risultato dell’unione di queste due nature è un vino che alla delicatezza del naso contrappone una struttura non indifferente che indugia su note minerali, ma con una beva facile e genuina. Un vino che racconta l’unione fra le due nature del Roero: di nerbo e sostanza, così come di estro e freschezza
Il Roero annata 2010 è finito e me ne dolgo assai perché l’assaggio è davvero succulento. Il Nebbiolo del Roero è completamente diverso dal fratello di Langa. È più profumato e meno tannico, ha un corpo più delicato e morbido ed una facilità di beva maggiore. È più di compagnia ed una volta stappata la bottiglia si fa fatica a riporla, specialmente se la conversazione incalza ed è corroborata da sfiziosi stuzzichini. Nell’interpretazione di Valfaccenda il legno gioca un ruolo fondamentale donando complessità e costrutto senza sovrastare i profumi varietali dell’uva
Tanta voglia di fare bene e la consapevolezza dell’appartenenza a questa terra, così si potrebbe riassumere l’avventura di Luca Faccenda che, ne sono certo, gli regalerà tante soddisfazioni
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati
Che bono il sig. valfaccenda!