Bisogna riscoprire il legame con la terra e con le nostre radici. È un pensiero che ribadisco spesso. Soprattutto in questo momento trovo che sia necessario riavvicinarsi alla nostra realtà più profonda, ritrovare quei legami primigeni che ci vincolano alla terra dalla quale proveniamo. Penso sia necessario iniziare a puntare in maniera decisa sulle eccellenze che questa terra ricca e fertile ci dona, uniche ed inimitabili, e smetterla di logorarci nelle guerre intestine del “io sono più bravo di te” o de “il mio prodotto è più buono del tuo”. Penso sia giunto il momento di fare sistema ed iniziare a remare tutti nella stessa direzione, e penso che questo passo sia ormai improrogabile

 

 

Tutte queste idee mi nascono spontanee ripensando alla visita alla cantina Paltrinieri di Sorbara e per una volta voglio iniziare il racconto dalla fine, dall’ultimo vino degustato: il Radice. Già il nome denota il forte attaccamento  di Alberto Paltrinieri, attuale proprietario e terza generazione in azienda, alla terra dove riconosce le proprie radici. Radici salde, solide e profonde, inestirpabili, non soffocabili. Radici emiliane, di quelle veraci, che traspaiono dalle prime parole. Il carattere non lo puoi nascondere, non lo puoi camuffare, alla prima stretta di mano salta fuori in maniera più o meno decisa. Dopo le prime parole scambiate con Alberto se ne intuisce la natura schietta, sincera, temprata dal lavoro e condita da una modestia vera. Un emiliano tutto d’un pezzo, col sorriso negli occhi ed il caldo nel cuore. Quante cose possono trasmettere un’etichetta ed una stretta di mano

 

 

 

Radici che ormai hanno attecchito da quasi un secolo, da quando per primo Achille, il nonno di Alberto, fondò l’azienda agricola e costruì la prima porzione di cantina. Radici che si sono espanse sia in ampiezza che in profondità. Che hanno conquistato nuovi terreni, ma senza mai strafare, con quella saggezza contadina che ti porta a mettere sempre da parte una quota dei guadagni per le annate difficili. Radici che come fittoni sono scese in profondità alla ricerca della natura più intima di un’uva, il Lambrusco di Sorbara, elegante quanto bistrattata. Radici che hanno generato piante, e attraverso queste frutti di rara bontà che fanno riscoprire sapori veri e sentimenti antichi. Tutto questo comunica il Radice, Sorbara in purezza ottenuto dalle uve della storica zona del Cristo e rifermentato in bottiglia. Quando lo si apre il suo profumo aggredisce quasi il naso, non si può restare indifferenti alla verticalità delle note che emana. Lo si porta alla bocca quasi con timore, ed invece qui si ammorbidisce, si placa, svela la sua vera intima natura fatta sì di secchezza e acidità, ma anche di una rotondità nascosta ed intrigante. Un monumento alla terra emiliana

 

 

Il fratello del Radice, forse più famoso in quanto più premiato, è il Leclisse. Più che fratello si dovrebbe parlare di gemello in questo caso: stesse uve, stessa zona di produzione, stesso periodo di macerazione (2 giorni), stessa finezza del colore tipica del Sorbara. La differenza qui la fa la fermentazione che in questo caso viene svolta in vasca d’acciaio. Questo è il fratello che è andato a studiare ad Oxford, non esce di casa senza la cravatta regimental e non dimentica una regola del galateo a tavola. Al naso è più timido del gemello rustico, più sfuggente, elegante. Al palato è grandioso: morbido, elegante, fine, infinito, con sentori di piccola frutta rossa leggermente matura. Poi sapido, acido e minerale. Un mutaforma, entra acido in bocca e poi vira verso la rotondità. Praticamente Vasco Rossi dopo 15 anni di corso intensivo presso i reali d’Inghilterra. Un ponte verso il futuro

 

 

 

Completano l’offerta della cantina tre altri lambruschi più o meno sorbarosi (o sorbarici che dir si voglia) partendo dal Greto 100% Salamino ed arrivando al Sant’Agata 100% Sorbara, ed un interessante Bianco ottenuto da Sorbara vinificato in bianco e Trebbiano. Vini diversi fra di loro per composizione e struttura, ma che condividono due cose: una freschezza sapida e, di conseguenza, una grandissima beva

 

 

 

 

Dedicato a tutti quelli che snobbano il Lambrusco, che denigrano quello che la terra ci dà, a tutti gli spocchiosi e a tutti quelli che non sanno guardare più in là del proprio naso. Tanto i vini buoni ce li beviamo noi

Il Fede

Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati

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2 Risposte

  1. Federico Malgarini

    Grazie mille Luca, è un grande piacere sapere che hai apprezzato l’articolo!
    Alberto poi è una persona davvero gradevole (oltre a fare ottimi vini!)
    Spero a presto
    Federico

  2. luca bonacini

    Bravo Federico !
    Complimenti un articolo molto piacevole…
    e hai capito la filosofia di Alberto.

    cordialmente
    Luca Bonacini