Il vino è emozione. È cultura, è storia ed è condivisione. Questa è la parte irrazionale, emotiva, istintiva, quello che ci fa innamorare o meno di una bottiglia, di una cantina, della persona dietro ad un’etichetta. Ma il vino è anche sapienza, è l’interpretazione sempre diversa di fattori eternamente mutevoli quali sono quelli influenzati dal clima e dalla meteorologia. Per fare il vino buono non si può prescindere dall’analisi oggettiva e scientifica di questi fattori, della loro influenza sull’uva e dell’effetto che in ultima istanza essi hanno sul prodotto finito

 

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Anche per questa ragione ho sempre trovato Anteprima Amarone, evento che apre la stagione delle grandi anteprime enologiche, un’occasione unica nel suo genere. Da quando partecipo all’incontro che si tiene generalmente l’ultimo fine settimana di gennaio, ho avuto modo di apprezzare quanta cura e dedizione venga riposta nella sua organizzazione. È l’unico evento nel suo genere a prevedere una spiegazione scientifica dettagliata, fornita dal Consorzio col supporto di un ente esterno quale l’Università degli Studi di Perugia, dell’andamento pluvio-climatico della stagione, con una ragionata opera di zonazione e caratterizzazione del territorio formante la zona a denominazione di origine

 

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Anche quest’anno il lavoro di analisi è stato encomiabile, sia per l’energia impiegata e la professionalità dimostrata, ma soprattutto per l’opera di divulgazione garantita dalla conferenza di presentazione alla stampa. Anche per una persona esterna al mondo della Valpolicella sarebbe stato molto più semplice comprendere i vini in degustazione a seguito dei chiari ed approfonditi interventi del presidente del Consorzio Christian Marchesini e del vicepresidente Daniele Accordini i quali hanno introdotto un’annata certamente difficile, caratterizzata da piogge copiose e frequenti e da temperature ampiamente sotto alla media. Tutto ciò ha portato ad avere vini ricchi di acidità e mediamente più poveri di zuccheri, sia in vendemmia (con un conseguente tasso alcolico finale nel vino più basso) che nel vino (con un residuo zuccherino più contenuto). I 2010 sono quindi dei vini più freschi, ma anche più scontrosi e meno facili da interpretare, che avranno bisogno di più anni per sbocciare, senza la certezza che il solo fluire del tempo possa raddrizzare virgulti che al momento sembrano a volte molto in difficoltà

 

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Ma la 2010 è un’annata estremamente importante per un altro motivo. Dal millesimo 2010, difatti, l’Amarone si può fregiare della menzione DOCG dove la G finale di Garantita non mette solamente il cliente finale più al sicuro da sofisticazioni e imitazioni, ma permette anche al vino di punta della Valpolicella di entrare finalmente in quel gotha cui merita da tempo di appartenere. Quello delle eccellenze italiane globalmente rinomate per le loro inimitabile caratteristiche organolettiche. Inoltre con l’introduzione della G al Consorzio viene riconosciuto anche l’erga omnes che gli permetterà in futuro di essere ancora più proattivo nella tutela e nell’opera di sensibilizzazione verso un prodotto che merita di essere conosciuto ed apprezzato da un pubblico sempre più vasto. La presentazione dell’annata 2010 è stata anche l’occasione per l’introduzione del nuovo marchio del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, un segno grafico frutto di approfondite ricerche tipografiche e filologiche al fine di determinare un marchio che avesse un profondo legame col territorio veronese

 

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Ma proprio perché c’erano tutte queste novità, non era forse il caso di prendere la palla al balzo e rimandare di un anno la presentazione di vini che, nella maggior parte dei casi, erano ben lontani non solo dall’essere pronti, ma anche solo dall’essere interpretabili? Non sarebbe forse stato meglio dare la possibilità al vino di aprirsi un pochettino di più riposando un ulteriore anno per poi donarsi all’assaggio nel 2015 con una definizione maggiore, a tutto vantaggio dei produttori stessi che avrebbero avuto l’opportunità di presentare i loro Amarone in un migliore stato di forma? Sembrerebbe che il presidente del consorzio sollecitato dall’ottimo moderatore del convegno Sebastiano Barisoni, abbia aperto uno spiraglio in questo senso per il futuro, lasciando intendere che sarebbe allo studio una modifica del disciplinare che prevedrebbe l’obbligatorietà di un anno in più di affinamento per l’Amarone prima della messa in commercio. Staremo a vedere

 

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Ma passiamo agli assaggi che maggiormente mi hanno colpito in maniera positiva della batteria di 61 Amarone 2010, rigorosamente degustati alla cieca, che era proposta in anteprima. La cantina che, sempre a mio parere, ha dimostrato la maggior consistenza è stata Tinazzi, che scontava peraltro il fatto di comparire fra le ultime bottiglie in degustazione. Nonostante ciò entrambi i suoi vini, sia il La Bastia che il Tenuta Valleselle si sono dimostrati un’ottima interpretazione di un’annata complicata, con nasi mai banali che da un lato richiamavano nettamente note speziate e di incenso (La Bastia) e dall’altro una maggiore complessità e ricchezza (Valleselle). Forse un filino più completo il secondo che ha mostrato una trama tannica ben presente e vividamente combinata con l’acidità propria del millesimo, uno dei pochi a riuscirci

 

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Dopo l’acuto dell’anno scorso col Terre di Cariano, quest’anno Pasqua si conferma, non che dovessi arrivare io a dirlo, vedetta del plotone con il Famiglia Pasqua assolutamente sugli scudi. Il naso è fresco e piacevolmente floreale, ma anche riccamente fruttato con fragola, marasca e prugna in evidenza. Quindi note rotonde e rassicuranti, che però vengono affiancate all’assaggio da una sorprendente presenza salina che rimanda ai capperi e alla salamoia. Una bella espressione di classe e raffinatezza per un Amarone che non vuole stupire con effetti speciale, quanto farsi ricordare per finezza e definizione

 

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Sono invece gradite scoperte di quest’anno le due cantine Corte Sant’Alda e Buglioni. L’Amarone della prima azienda ha naso più femminile, esile, dolce e floreale, una bocca scarica di tannino, ma con perfetto equilibrio fra alcol e freschezza, appare quindi come il perfetto prototipo dell’annata 2010. Il vino di Buglioni, invece, ha naso piuttosto dolce al principio, ma che viene impreziosito da una bella spinta balsamica di menta e rabarbaro, mentre in bocca fa la sua comparsa un tannino deciso che chiude però in maniera composta ed educata, senza graffiare

 

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Come fatto notare nel corso della conferenza, è quindi la vallata di Marano a dare i prodotti migliori, maggiormente equilibrati e, per quanto ancora giovanissimi, già avviati verso una serena adolescenza. Prendendo spunto da una riflessione di Barisoni, che ha dimostrato in più occasioni nel corso della mattinata di tenere particolarmente alla Valpolicella e di averne analizzato in maniera approfondita la situazione attuale, chiuderei l’articolo con una nota di attenzione lanciata ai produttori. Spostare troppo la produzione dai prodotti “di base” (Valpolicella classico e superiore) ai prodotti “premium” (Amarone e Recioto) rischia di avere un doppio effetto perverso. Da una parte l’aumento della quantità di Amarone potrebbe portare ad un abbassamento del prezzo per semplice applicazione della legge di domanda e offerta, dall’altra la minor reperibilità di prodotti di base potrebbe minare la fidelizzazione di una fetta importante di clientela legata a tali etichette, con conseguente probabile abbassamento della richiesta di Amarone stesso. Ad oggi sui 60 milioni di bottiglie marchiate Valpolicella, 13,4 milioni sono di Amarone. Se andiamo a vedere i dati di utilizzo dell’uva prodotta in Valpolicella, a fronte dei circa 550 mila quintali prodotti nel 2013 ed utilizzati per i vini Valpolicella (compresi classico, superiore e ripasso), quasi 300 mila sono stati impiegati per produrre Amarone e Recioto. Occhio

 

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati