Lo street food ha rotto. Era un po’ che ce l’avevo sulla punta della lingua e adesso l’ho detto. Ma non sono il concetto e la sostanza ad avere rotto, quanto la definizione inglese che spersonalizza, depaupera, e appiattisce l’infinito patrimonio culinario italiano. Quello fatto di cartocci che piano piano diventano trasparenti per l’inarrestabile avanzata dell’olio, di vassoi di cartoncino rigido, pacchetti di stagnola, fazzolettini di carta, poi ogni regione, provincia, città, rione li farcisce col proprio prodotto tipico. E voi vorreste farmi credere che una tale inestimabile ricchezza può essere derubricata sotto la semplice definizione di street food?
Prendiamo ad esempio la braciola, quella alla messinese, quella arrotolata e ripiena di dorata mollica di pane e formaggio stagionato che mi viene l’acquolina in bocca al solo pensiero. Quella poi porzionata in piccoli tocchetti da mangiare come ciliegie e infilzata su di uno spiedino di legno, in modo da poterla gustare senza sporcarsi null’altro che non sia la coscienza. Voi avreste l’ardire di definirla semplicemente e banalmente street food? E la sicilianità e la tradizione dove andrebbero a finire? Mi sembra molto più rispettoso allora definire tale prelibatezza “fine missinisi cuisine” con un’interessante sposalizio fra la lingua messinese e l’idioma d’oltre Manica
È proprio questo il sottotitolo della Bracioleria che da poco ha aperto i propri battenti a Milano in via Fogazzaro 9, portando con sé una ventata di fresca aria della stretto e l’inebriante profumo dell’olio sfrigolante. Un concept molto carino ad acchiappante dalla linea grafica semplice che accoglie l’avventore in maniera genuina, proiettandolo direttamente nell’universo della gastronomia messinese. Perché quello che Roberto Ruggeri e Fabio Giuffrè hanno creato è un piccolo angolo di Sicilia orientale nel cuore di Milano, dedito alla propagazione del verbo trinacrio che, oltre alle braciole, parla di melanzane e crocchette di patate e pesce spada
Il tutto viene condito da piccoli accorgimenti di sicuro gradimento come la presa per ricaricare gli smart phone incorporata nei tavoli del locale ed il piatto appositamente studiato (e brevettato) per permettere lo sfilamento dello spiedino tramite un foro ad esso dedicato consentendo, a chi lo volesse, di mangiare l’aureo derivato bovino con le posate. La cottura sulla pietra lavica, oltre a donare una leggera nota fumé alla carne, rappresenta anche un collegamento ideologico col territorio provinciale che abbraccia da settentrione a muntagna, l’Etna
I vini che si possono ordinare alla Bracioleria sono quelli di Duca di Salaparuta, fra i quali spicca per affinità di abbinamento il Grillo Kados. Un’unione d’intenti fra la Sicilia orientale della braciola e quella occidentale del Grillo, fra la campagna trapanese e le coste messinesi. La carica di sapori della braciola deve essere arginata in qualche modo da un vino di struttura, ma soprattutto di freschezza e acidità, caratteristica quest’ultima che non deve però eccedere per non scontrarsi col formaggio. Il Grillo è quindi la scelta ideale per accompagnare il ricco spiedino
A me scrivere questo pezzo ha fatto tornare fame, in particolare di gusti isolani, ricchi, accattivanti, e a voi?
Photo courtesy of La Bracioleria
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati