Torniamo a parlare della cucina langarola, con il quinto articolo dedicato alla rassegna Laghe e Roero 2012 di inizio maggio. E torniamo a parlare del Relais San Maurizio e del suo ristorante gourmet, il Guido da Costigliole, di cui già si era scritto in uno degli articoli pubblicati nei giorni scorsi. Questa volta però vi racconterò le cose dal punto di vista della sala e non più dalla cucina come in occasione dello show cooking incentrato sugli agnolotti del plin
Il ristorante è davvero charmant. Nel seminterrato del relais si cela questo angolo di pace in cui la sala, di grandi dimensioni, essendo divisa in più spazi comunicanti dagli archi originali del soffitto, trasmette una sensazione di intimità e riservatezza che predispone al meglio i commensali alla cena. La sala appartata dove siamo stati fatti accomodare sublima questa sensazione di intimo raccoglimento facendo sentire l’ospite completamente a suo agio
Andrea Alciati, figlio d’arte, dirige sapientemente la sala, mentre lo scettro, o meglio il mestolo, della cucina è lasciato in mano allo chef Luca Zecchin, che avevamo conosciuto in occasione della lezione di agnolotti. Il vero tesoro di questo ristorante si nasconde però nella cantina, dove qualche migliaio delle migliori etichette con particolari focus sulla produzione locale e dello Champagne lascia letteralmente senza fiato chiunque abbia occasione di mettervi piede
La cena proposta va a pescare nei classici della cucina piemontese, con una grande attenzione alla tradizione, qualche spunto innovativo, ma soprattutto una ricerca della preminenza della sostanza, senza mai andare a discapito della forma. Tutto questo si condensa nel vitello tonnato, piatto in cui le fettine di vitello non sono i classici fogli impalpabili, ma sono invece dotati di consistenza propria mentre la delicata, per quanto decisa, salsa tonnata posta al centro del piatto non fa nulla per nascondere la bontà della carne, ma anzi la esalta in un perfetto ed equilibrato passo a due
Cucina della tradizione vuol dire anche andare a riscoprire e valorizzare quei prodotti che spesso vengono messi da parte, snobbati dal grande pubblico per ignoranza o pregiudizio. Come primo piatto lo chef propone quindi un magnifico risotto allo zafferano con creste e fegatini di gallo, impreziosito da una scaloppa di foie gras e da una riduzione di porto, una vera leccornia per estimatori. Dopo un breve intermezzo con gli immancabili agnolotti del plin, arriva la portata principale, un sontuoso sottopaletta di fassone, il Piemonte in tutta la sua rustica, ma ricercata bellezza
Per concludere una cene piemontese di questo livello non poteva mancare il dessert alle nocciole, un goloso semifreddo. Ma come sempre la sorpresa è dietro l’angolo, ed ecco che insieme al dessert sbucano anche tre bottiglie dell’unico ed inimitabile Moscato d’Asti Ca’ d’Gal. Per la precisione le annate 2008, 2003 e 2001, un tassello in più per andare ad arricchire la verticale già iniziata in cantina, a dimostrazione che un Moscato con undici anni di vita evolve in maniera inaspettata, diventando pieno e maturo, e che il 2003 è stata un’annata eccenzionale non solo per alcuni rossi
Una serata piacevole e rilassante in una location tutta da assaporare
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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati