In tempo di vellutate, minestre, bolliti misti, bagnetti verdi, la vera protagonista della cucina piemontese è la bagna cauda. La bagna cauda non è una semplice salsa, ma la pietanza dell’amicizia che ci racconta la vita tra vino, tavola, prodotti della terra e del mare.
E’ sì un piatto povero. I suoi ingredienti, infatti, sono solo l’aglio, l’olio e le acciughe: ma l’olio deve essere ligure e d’annata, le acciughe devono essere le “rosse di Spagna”, stagionate da almeno un anno, l’aglio preferibilmente di Caraglio, uno dei pochi ad avere un sapore delicato dalla facile digeribilità.
Nonostante l’Accademia Italiana della Cucina abbia depositato solo nel 2005 la ricetta della bagna cauda, la sua esistenza sarebbe già stata confermata alla fine del XIV secolo. Il medico Antonio Guainerio, in un suo trattato, si sofferma sulla passione dei contadini piemontesi per l’aglio, ingrediente fondamentale per il “sapor rusticorum”, una tipica e amatissima pietanza calda medievale cremosa e densa. La bagna era la “Salsa detta del pover uomo” nel “Cuoco Piemontese perfezionato a Parigi” del 1766.
La bagna cauda prevede l’utilizzo di verdure crude e cotte. Sul tavolo si presentano ortaggi di altissima qualità. I cardi gobbi di Nizza, dall’inconfondibile sapore delicato e gradevole, i topinanbours, chiamati anche rapa tedesca, carciofo di Gerusalemme o girasole del Canada (spazzolateli delicatamente e poi lessateli con la buccia in acqua non salata). I peperoni quadrati di Motta Castigliole, carnosi e molto colorati, i peperoni sotto graspa (pavrun ant’la rapa”, i peperoni sotto vinaccia o smujà sotto aceto) e arrostiti. I cipollotti inquartati e immersi nel vino barbera crudo. La biarava (barbabietola rossa cotta al forno), patate lesse, cipolle al forno, zucca fritta, il cavolo, la verza, cuori di indivia o di scarola, cavolfiori lessati.
Anche se molti evitano le verdure aromatiche come il sedano o il finocchio, c’è chi sotto aceto osa mettere anche gli “spagnolini” piccanti destinati a dare un tocco in più e un po’ diverso alla bagna.
Da dove arrivavano in passato le acciughe e l’olio? Dalla Liguria potremmo pensare.
Ma la riviera ligure, scogliosa e con dirupi, non aveva spazio per le saline, che abbondavano invece nella vicina Provenza ed alle foci del Rodano. Così, carovane di muli e di mercanti astigiani, già dal XII secolo percorrevano l’unica, documentata strada salis che univa le saline provenzali con Nizza Marittima, lungo la meravigliosa Val Maira, attraversando la Stura, il Gesso e la Vermenagna, Cuneo e Asti. Una rotta alternativa risaliva costeggiando il versante francese delle Alpi, passando i valichi e discendendo in valle di Susa, attraverso Rivoli ed Avigliana giungendo fino ad Asti. Il commercio del sale consentiva anche l’approvvigionamento delle acciughe salate prodotte in grandi quantità nel Golfo del Leone, insenatura tra il confine spagnolo e la francese Tolone.
Le acciughe, grazie agli anciuè, gli ambulanti che le trasportavano in barili o nelle grandi e variopinte latte da dieci e più chili, potevano essere acquistate dalle famiglie contadine in piccole quantità settimanali.
Paolo Barosso, giornalista ed esperto di cultura piemontese, racconta che nel Cinquecento e nel Seicento in Piemonte si consumavano soprattutto olio di noci e nocciole. Si coltivavano anche le olive in Astesana soprattutto sulle colline delle Valli Belbo e Tiglione. Nel 1709 il gelo causò la morte di molti olivi e fu abbandonata gradualmente questa coltivazione, ripresa negli ultimi anni da alcuni nuovi pionieri, come la azienda agricola Giovanetto sulle colline terrazzate nella regione Piole in frazione Montestrutto a Settimo Vittone.
La bagna cauda veniva sempre preparata in grandi quantitativi e allungata giornalmente con l’olio e nuove acciughe. La salsa risultava sempre più fluida e usata per insaporire la polenta con un pezzetto di burro o un condimento, previa aggiunta di aceto, per grandi insalate.
La bagna è il piatto tipico dei giorni della vendemmia, avvenimento dell’anno conviviale e gioioso. Come ci è stato tramandato nei secoli dalla mitologia greca e romana, il Dio del vino, Bacco, è, infatti, non solo il dio della vendemmia, ma anche del piacere dei sensi e del divertimento.
È dunque l’autunno che apre le porte a questa ricetta, ma il piacere dura per tutto l’inverno.
La salsa viene servita a tavola nel dian (così si chiama il pentolino di terracotta dove viene cucinata) che viene in seguito appoggiato sopra un fornellino acceso che la mantiene calda durante il pasto. In passato si usava uno scaldino di coccio riempito di braci vive, la s-cionfetta. Oggi si usano i comodi foiòt, ciotoline dotate di un lumino al vano inferiore. I commensali intingono le verdure nella bagna cauda per poi portarle nel proprio piatto e gustarle intrise del sapore intenso di aglio e acciughe. Unica accortezza? Non caricate i pezzi di verdura a mo’ di “palot” (paletta), raccogliendo troppa salsa.
Il vino ideale per la bagna è un rosso piemontese giovane, fresco con alta acidità, spaziando dalla barbera giovane, al leggero dolcetto, un allegro freisa, grignolino. Alla fine del rito conviviale si può stappare una bottiglia più importante come un nebbiolo o un Barbera d’Asti superiore.
Il rito finale prevede in molti casi che nel dian ancora caldo si faccia cuocere lentamente un uovo di gallina o di quaglia strapazzato, che si può arricchire con del tartufo bianco.
La ricetta che vi propongo è quella depositata nel 2005.
Ingredienti per 12 persone: 12 teste di aglio, 6 bicchieri da vino di olio d’oliva extravergine e, se possibile, un bicchierino di olio di noci, 6 etti di acciughe rosse di Spagna.
- Tagliate a fettine gli spicchi d’aglio precedentemente svestiti e privati del germoglio (se non amate i gusti forti, allontanandovi però in questo modo dalla ricetta autentica, lasciate a mollo nel latte per una notte le teste, oppure fatelo bollire con del latte, scolatelo e pestatelo).
- Lasciate a bagno nell’acqua fredda il dian per un paio di ore e asciugatelo con cura. Questa operazione è essenziale per evitare che il dian si crepi con il calore del fuoco.
- Ponete l’aglio in un tegame di coccio (aggiungete un bicchiere d’olio e iniziate la cottura a fuoco bassissimo rimescolando con il cucchiaio di legno e avendo cura che non prenda colore).
- Aggiungete poi le acciughe dissalate, disliscate, lavate nel vino rosso e asciugate, rimestandole delicatamente.
- Coprite con il restante olio e portate l’intingolo a cottura a fuoco lento per mezz’ora. L’olio non deve friggere. E’ proprio la cottura lenta che permette agli ingredienti di disfarsi e ridursi in salsa.
- Versate la bagna negli appositi “fujot”.
Ci sono poi molte varianti che prevedono anche l’uso della panna o del latte e delle noci.
Il rito si conferma ogni anno nel Bagna Cauda day, evento internazionale di fine novembre che abbraccia tutto il mondo (dal Piemonte, al Giappone, alla Bolivia, agli Stati Uniti, alla Nuova Zelanda, alla Terra del Fuoco) e che si conclude a mezza notte con un bacio.
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Articolo scritto e redatto da Daniela Rigoni | Tutti i diritti sono riservati