Natale è arrivato ed è passato. Ci ha lasciato qualche dono, molti chili in più, tante chiacchiere, si spera tantissime risate e magari qualche lacrima. Ci ha lasciati con quel senso di pace ed appagamento che si ha quando succede qualcosa di bello, almeno per me è stato così. Oggi è ancora festa, domani è un altro giorno, ma intanto cerchiamo di godere di quello che di bello ci è successo, delle persone che abbiamo incontrato e dell’affetto che esse ci hanno donato
Una cosa che accomuna tutto il periodo delle feste invernali, da Natale a Capodanno è la bollicina. Durante il cenone soprattutto, ma anche a valle delle mega mangiate natalizie, una bolla ci sta sempre perché rinfresca ed appiana lo sconvolgimento operato sulle papille gustative dalle ventidue portate precedenti, facendo planare placidamente in una condizione di pace dei sensi che sconfina molto spesso in una pennica ristoratrice. Ecco allora che per onorare la settimana della bolla mi sembra giusto parlare del rappresentante italiano più illustre di questa categoria: del Giulio Ferrari riserva del Fondatore, ed in particolare della verticale di questa straordinaria etichetta che ha avuto luogo al Merano Wine Festival di quest’anno
Accostarsi ad un’esperienza del genere accompagnati lungo il cammino dai cugini Matteo e Marcello Lunelli è un’occasione unica e difficilmente ripetibile, da gustare appieno, bollicina dopo bollicina. È come entrare nella Casa Bianca accompagnati da Obama, bisogna prepararsi spiritualmente a tale incontro. Per questo motivo, per predisporre al meglio i presenti, il primo vino in degustazione è il Perlé 2000 (sboccatura 2012) che è un po’ il fratello cadetto del più decorato Giulio. Già in questo primo vino la complessità aromatica si fa sentire: lievito e pane ne denotano l’età, mandorla amara e mela la composizione (100% Chardonnay). In bocca sboccia poi un leggero agrume, piacevolmente acido ed una bolla fine e delicata. Un gran bel modo per prepararsi la bocca
Parlare di tutte le annate proposte in degustazione diventerebbe lungo, e per alcuni noioso, per cui ho deciso di descrivere solo i tre millesimi che mi sono parsi maggiormente rappresentativi fra quelli assaggiati (01, 99, 96, 94, 91, 89, 86). Partendo proprio dall’ultima annata messa in commercio: la 2001. Già perché la Riserva Giulio Ferrari nasce fin da subito, dalla vendemmia ’72, con l’idea di affinarsi lungamente, tanto che la prima annata passò subito otto anni sui lieviti. La 2001 viene da un’annata calda e riversa tutto il calore assorbito dall’uva nel bicchiere. Spiccano al naso sentori di pasticceria e di frutta tropicale tipica dello Chardonnay particolarmente maturo, insieme a note di canditi. In bocca si avverte una decisa salinità ed un’acidità verticale che sostiene bene i profumi caldi percepiti al naso e che regala al vino una grande beva. Un’annata più ruffiana di altre, ma di grande piacevolezza
Quasi mi dimenticavo di dirvi che tutte le bottiglie assaggiate erano magnum fatte sboccare appositamente per l’occasione otto mesi addietro, non so se mi spiego! Tornando indietro negli anni si approda ad un millesimo eccezionale: il ’94 in cui fanno la comparsa per la prima volta durante la verticale leggeri profumi terziari. Una bella evoluzione già al naso che principia con la dolcezza del caramello, prosegue poi col tostato del caffè e chiude leggermente amara. In bocca il vino sembra non risentire del tempo che passa, mostrando ancora fiero e sprezzante la propria salinità acquisita dai terreni di Maso Pianizza, completata da una grandissima finezza vellutata che lo qualifica come un grande exploit
Il terzo millesimo, forse quello che mi ha colpito maggiormente, è l’89. Accostandosi ad un vino che ha riposato per oltre vent’anni sui propri lieviti un po’, un po’ tanto, di timore reverenziale ti assale: sarai pronto ad apprezzarlo? Per fortuna il cammino degustativo magistralmente orchestrato dai cugini Lunelli per giungere a questo punto è stato un ottimo allenamento per le papille che quando entrano in contatto con l’89 fremono di piacere. La bolla ormai è quasi svanita del tutto, ma la profondità di profumi che questo vino sfoggia al naso non la fa rimpiangere per nulla: la dolcezza del miele e la mineralità da idrocarburo data dall’invecchiamento dello Chardonnay danzano un valzer di infinita eleganza. Le sensazioni gustative sono emozionanti: dall’acidità non ancora sopita alla sapidità ad una leggera affumicatura a sentori fungini di sottobosco, pirici di sasso, il tutto senza mai perdere la propria cremosità. Che dire: chapeau!
“Un grandissimo Borgogna con le bollicine fatto a Trento” così apriva la verticale Matteo Lunelli, presidente del gruppo, come dargli torto?
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati