Cerco di circondarmi di persone capaci e con visione con cui condividere un progetto. E ho la sensibilità di capire che cosa vuole il mercato e la gente. Oltre ad essere una persona fondamentalmente curiosa che non si siede mai

Se c’è una cosa che non manca a Ugo Fava è l’entusiasmo e l’innata curiosità. In questa intervista con Ugo, milanese, Classe ’65, scaliamo le tappe della sua carriera, usando il linguaggio della montagna, che lui conosce molto bene.

 

La gestione dei locali passa/parte sempre dal basso. Anche tu, come tanti hai iniziato come PR. Cosa ti ha spinto a iniziare questo percorso?

In realtà non lo so neanche io quando ho iniziato (risate NDR). Essendo la pecora nera in famiglia con tre fratelli maschi nettamente più studiosi di me, ero molto poco studioso, ma sicuramente portato per le relazioni, quindi ho iniziato organizzando serate per universitari, per racimolare un po’ di soldi e potermi permettere quella vita indipendente e di libertà che tanto amavo.

In quel contesto mi sono reso conto di essere molto metodico e di riuscire davvero ad organizzare al meglio quelle serate, dalla preparazione della mailing list alla parte organizzativa dell’evento stesso. Mi piaceva, non l’ho mai vissuto come un lavoro e forse solo adesso sto imparando a viverlo come un business. Fino a poco tempo fa, non avevo ancora chiara la risposta “cosa vuoi fare da grande”, sono dovuto diventare davvero “molto grande” per darmi una risposta (risate NDR). Arrivando da una famiglia borghese che aveva una visione del mondo dei locali e della “notte” come un mondo di “balordi” (anche se si guadagnavano cifre interessanti), ho dovuto studiare molto.Non che mi sentissi obbligato ma l’estrazione familiare mi portava ad avere quell’impostazione e approccio al futuro che non poteva “darmi” il mondo della notte.

 

Quando questa passione che ti aiutava a sbarcare il lunario ti sei reso conto che poteva diventare una alternativa di vita?

Appena dopo la fine dell’Università e la laurea in legge, ricevo la proposta di aprire un club. Proposta che ho vissuto in modo combattuto, da una parte per ambizione (dovevo per forza essere parte di questa avventura), dall’altra mi sentivo quasi in imbarazzo nel dire apertamente che quello fosse il mio lavoro “vero”.

Le mie giornate erano infinite, la mattina seguivo l’attività di famiglia, ero un mezzo legale, la sera avevo il corso di specializzazione e la notte il club. Ma quando mi si chiedeva che lavoro facessi, la mia risposta era sempre faccio l’avvocato. Perché all’epoca, in quell’ambiente dire che facevo il localaro era sconveniente. Se fossi stato a New York, sarei andato in giro con Naomi Campbell da una parte e Christy Turlington dall’altra, ma ero a Milano, e quel tipo di lavoro era visto come un fallimento. Questa visione è cambiata nel tempo.

Avevo 26 anni e avevo aperto uno dei locali più famosi in Italia, Le Beau Geste, in Piazza Velasca, nelle stagioni 91’, 92’, 93’. Poi il logo è cambiato: me lo ricordo ancora benissimo, era meraviglioso, avevamo speso 6 milioni di vecchie lire, tra logo e grafica. Questo per dire come eravamo: volevamo le cose fatte bene. È un logo a cui sono molto affezionato, è ancora mio, l’ho in casa ed è un mio personale punto di partenza.

 

Dove andavi a ballare, quali sono i locali storici -e meno conosciuti- di Milano che frequentavi?

Il Beau Geste è stato il primo locale che ho lanciato, anche se in parallelo avevo seguito l’Old Fashion con i fratelli Cominardi, l’estivo al Parco delle Rose mente a San Siro avevamo aperto per 2 anni lo Stadio: una discoteca su una piattaforma sul prato.

Milano era molto più “aggressiva” prima, c’erano locali incredibili, L’Ippodromo il Tribuna Centrale, il Cafè Caribe, il Primo Piano Gallery. La città nei weekend cambiava, c’erano tantissime cose da fare e vedere, era più divertente rimanere in città che partire per Ibiza.

 

Le Biciclette ha compiuto la maggiore età. Nasce come Art Cafè. Milano è sempre stata un crocevia importante delle avanguardie artistiche del ‘900. Il tuo locale ha ancora quella identità, ci racconti la sua storia?

A 33 anni, decido che voglio abbandonare definitivamente il mondo notturno del clubbing perché già non mi divertivo più e non reggevo più fisicamente quei ritmi forsennati. Avevo l’idea di creare un posto dove poter andare a fare l’aperitivo, fermarmi a cena e finire la serata per poi andare a casa. Volevo dargli un contenuto perchè con la mia esperienza da PR sapevo che i locali che dipendono dai PR, se non hanno un’identità propria a un certo punto di svuotano.

Proprio per questo motivo, da proprietario del locale, ho pensato che dovevo creare un luogo che vivesse di comunicazione propria. Da qui è nato il concetto di Art Bar e quindi Le Biciclette. Feci fare da Luca Bernasconi, (mio migliore amico e architetto molto bravo) il progetto di un locale pensato come un teatro, intercambiabile lungo i momenti della giornata. Un luogo che potesse ospitare mostre e quindi con incassi a soffitto dove poter appendere oggetti fino a 50, 60 kg. Un sotterraneo, oggi coperto dal legno ma all’epoca da cristallo dove ho fatto mostre di artisti e designer di moda.

È un locale con una forte identità, dove sono nati personaggi dell’arte, del design (es, San Martano, Bros) che ancora oggi ritornano. Jack Jaselli era il mio direttore artistico e ora sappiamo dove è arrivato. Le Biciclette è stato quindi il vero locale di passaggio e dichiarato alla mia attività di business “allo scoperto” dove applicare il mio pensiero strategico legato a questo mondo, perché nello specifico io non so preparare un cocktail, non so fare una pasta e servire un piatto (risate NDR).

 

Lavorare come PR ti ha aiutato a costruire delle relazioni che ti porti dietro ancora oggi?

Cerco di circondarmi di persone capaci e con visione con cui condividere un progetto. Ho la sensibilità di capire che cosa vogliono il mercato e la gente. Oltre ad essere una persona curiosa che non si siede mai. L’idea di fare altri locali l’ho avuta, le occasioni sono capitate e le ho lasciate, un po’ per pigrizia o appunto perché non avevo le persone adatte di fianco a me o vecchi soci con i quali ci siamo separati. Io non ho mai vissuto un locale in modo speculativo, (ma di renderlo non dico eterno) ma con una longevità a lungo termine. In questo senso, incontrare gente, perderne altra lungo la strada, mi ha fatto incontrare lo chef Stefano Cerveni, che avevo contattato per una consulenza per le Biciclette.

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Chef Stefano Cerveni (c)MarinaSiciliano

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Ci racconti come è andata?

Una sera venne al locale, era una serata piena di gente, ha assaggiato i piatti e mi ha detto in tutta sincerità, che cosa vuoi da me? I piatti sono buoni, il locale è pieno. A cosa ti serve la consulenza di uno chef stellato?.  Questo approccio mi è subito piaciuto, perché ho avuto l’impressione di avere a che fare con una persona onesta, per me  fondamentale per la mia proverbiale diffidenza.

Questa persona me la sono tenuta in testa fino a quando è uscito un bando per la gestione di un bar della Darsena. Lo chiamo 3 giorni prima della scadenza del bando. Lavoriamo giorno e notte per questo progetto ma arriviamo secondi e perdiamo il bando: non tutti i mali vengono per nuocere, abbiamo lavorato su un progetto che ci ha reso squadra.

Poco tempo dopo esce il bando per il ristorante della Triennale, che aveva una serie di parametri che sulla carta non avevo e dopo un confronto con Cerveni e il mio socio decidiamo, contro ogni aspettativa di partecipare. Non ci credevamo, siamo arrivati parimerito con il competitor diretto.

Il secondo step era una chiacchierata con il board di Triennale che non conoscevamo e dove abbiamo cominciato a sospettare che il nostro approccio easy e fresco fosse piaciuto nonostante questo posto potesse apparire molto istituzionale: abbiamo vinto! C’era un’energia e un entusiasmo incredibile e questo ha portato tutti i risultati che abbiamo sotto gli occhi, siamo partiti in overbooking e abbiamo proseguito su quella linea.

Nel corso del tempo si sono attaccate altre tessere del puzzle, è uscito un nuovo bando per la Darsena e siamo riusciti ad avere la meglio – questa volta non lo potevo perdere! Il nome Terrazza Triennale nasce dalla necessità del board di contestualizzare al meglio la realtà. Ovviamente è un giusto compromesso rispetto alla nostra idea iniziale, ma io volevo fosse calata nel contesto della Milano che conosco bene. Per cui mi confronto con il mio chef e gli dico di fidarsi della mia visione e una sera, tornato a casa davanti ad un bicchiere di vino ho questa illuminazione. Mando un messaggio whatsApp a Stefano Cerveni Terrazza Triennale – Osteria con Vista, risposta “Sei un genio” (Ugo imita Stefano con accento Bergamasco, risate NDR). Siamo riusciti a farlo apprezzare a Triennale, proprio perché serviva a sdrammatizzare un rischio che potesse essere visto come un luogo troppo esclusivo.

 

Per alcuni Terrazza Triennale – Osteria con vista viene percepito come ristorante gourmet quando mi raccontavi che in realtà l’anima che vorresti tirare fuori è quella delle vecchie osterie milanesi, ce lo racconti?

Nonostante le premesse, la partenza è stata di un posto esclusivo e, concedimi il termine, troppo gourmet nell’approccio al menù. Da qui abbiamo lavorato per ridimensionare la proposta pur mantenendo l’approccio qualitativo stellato, meno gourmet, con piatti più abbondanti. Si mangia in tempi veloci, senza frenesia. A Milano, usciti dall’ufficio si va in palestra, si va a bere l’aperitivo, si va al ristorante, poi si va a teatro, al cinema o dove si vuole. Perché? Ha tutto, è infinita. E’ il cliente che decide quanto stare a tavola. Troverai quello che parte ed esce veloce, quello che si rilassa perché vuole decomprimere lo stress, ma lo sceglie lui non siamo noi ad imporlo.

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Qual è il comune denominatore dei progetti che vedono la tua impronta?

Io colgo delle esigenze, Le Biciclette oggi è la mia casa, forse questo potrebbe essere un denominatore comune, far diventare questi luoghi, dei posti dove sentirsi a casa. Oltre a cercargli dei contenuti, che sono la vera natura dei locali. Oggi abbiamo vinto i bandi, sempre in Triennale, per il design cafè e il Giardino, perché ci sono delle cose che li connotano, rendono unici, come ad esempio il Vista Darsena, dove abbiamo trovato quella atmosfera da Cafè del Mar che lo rende speciale. Ma i milanesi sono quelli che ti scelgono realmente. Ecco perché trovi locali vuoti e posti pienissimi. La differenza è come lavori sulla qualità e i contenuti, la gente è abituata a viaggiare e conoscere e sa riconoscere, percepire oltre che ricercare la qualità.

 

Milano pensi ti abbia aiutato a diventare l’imprenditore di oggi? Ti sei mai immaginato Ugo Fava a Firenze?

Milano mi ha aiutato principalmente perché è una città di relazione ed io essendo propenso a conoscerne le dinamiche e le sue strategie ne sono stato facilitato. Ma questa è la città di cui sono innamorato. Ed io sono felice che stia rinascendo. L’indotto che ha generato Expo (che è stato un traguardo non un inizio) è incredibile e da non disperdere.

 

Il cliente tipo dei tuoi locali come lo descriveresti?

Premetto: Milano è una città di cortile e non di piazza. Il Milanese è riservato si fa gli affari propri. Questo rispecchia come sono cresciuto io, mi piace costruire per questo tipo di clientela, non snob. Il Milanese accetta l’uomo di cultura senza soldi. Accetta il prossimo e lo accoglie.

Non mi piace l’ostentazione, amo le sfide. L’Idroscalo in questo senso, è il mare dei Milanesi. 15 minuti da San Babila in Motorino. Acqua della falda, centro sportivo. Se fossimo all’estero sarebbe sempre pieno. Ora comincia ad essere finalmente un posto incredibile, con un lavoro di squadra. Ora non è un posto dove la gente si vergogna di passare una giornata.

La magia di questa città è questo: ci sono cose che funzionano anche dove pensi non riusciranno. È il luogo dove far accadere cose.

 

Dove vai a mangiare o bere per staccare la spina?

l mio posto preferito? Casa. (risate ndr). In realtà io ho una vita piuttosto tribolata. Non amo mangiare e non amo i gruppi. Proprio perché ho fatto una vita fatta di incontri e vita sociale. Se mi invitassi a cena e ci fossero più di 4 persone a tavola, troverei una scusa per non esserci.

Mangiare per me non è un momento di convivio ma una necessità. Io fuggo da Milano per la montagna, ma anche in questo caso in cerca di sfide. Se posso scelgo di cenare in Trattoria, dove addirittura posso mettere i piedi sul tavolo. Una bella cassoeula con fiasco di vino e amici, quello è il mio posto.

Io vado a casa presto: alle 11.00 sono a letto. (da dopo i 40 anni ho fatto scelte diverse, finalmente).

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Foto Terrazzza

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1 risposta

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