Il mondo del vino italiano è fatto di luoghi simbolo e di piccoli territori poco noti. Della prima categoria fanno parte, ad esempio, le Langhe, molte zone della Toscana, la Valpolicella, mentre il secondo gruppo è composto da un’infinità di piccole denominazioni di cui si parla sempre troppo poco e che nascondono al loro interno delle vere e proprie chicche. Non appartenere ad una realtà fortemente nota, a volte, può però essere anche un vantaggio in quanto permette di fare vino seguendo un proprio progetto, una propria idea avulsa dalle logiche di mercato e dai diktat dei consorzi. È in queste condizioni di libertà di pensiero e di espressione che si riesce a tradurre in vino un’immagine astratta
Siamo a Varano de’ Melegari, nella bassa Val del Ceno, contrade queste famose per il maiale nero, per i funghi, ma assolutamente sconosciute ai più per quanto riguarda la produzione vinicola. Nella frazione di Villa, su di un colle che si spegne morbidamente nel Ceno si trova uno di quei posti in cui la commutazione del pensiero in azione è riuscita particolarmente bene. Si tratta del Podere Pradarolo, una proprietà di 60 ettari di cui 5 vitati abbracciata a nord dai calanchi ed a sud dal Ceno. Un posto dove Alberto Carretti è riuscito a sintetizzare appieno la propria idea di fare vino
Il punto di partenza è stato il recupero di una vecchia varietà, la Termarina (Corinto rosa), una volta molto diffusa nella zona, ma che oggi stava rischiando di scomparire. Da qui parte la sperimentazione che si orienta subito sulla Malvasia di Candia come vitigno a bacca bianca e che dopo un paio di tentativi approda alla Barbera ed alla Croatina come varietà a bacca rossa. Il secondo step è una grande cura della vite in campagna, necessaria per attuare il progetto del vino in cantina. Progetto che si basa su due punti fondamentali: nessuna aggiunta di solforosa e lunghe macerazioni a contatto con le bucce. Due capisaldi che traggono origine dalla tradizione, dal desiderio di fare un vino che sia intimamente espressione di un territorio e che estragga dalla propria sostanza quanta più tipicità possibile
Già durante gli assaggi dalle vasche si inizia ad intuire la strada percorsa da Alberto. La Malvasia 2012 è ancora sulle bucce a due mesi dalla vendemmia, ha svolto la fermentazione in maniera spontanea e adesso si presenta con spiccati sentori di rosa appassita ed arancia candita. Un vino già molto complesso ed è solo all’inizio del proprio percorso. Il 2012 si rivela essere stata un’annata particolarmente fortunata, per quanto difficile, anche per la Barbera. Ad un mese dalla vendemmia è già perfettamente secca ed ha un bouquet eccezionale che insiste molto sull’amarena amara, ma che rivela anche leggeri sentori erbacei di grande fascino. L’annata 2011 ha meno equilibrio, ma molta concentrazione in più. La Barbera, sempre assaggiata da vasca, ha profumi particolari di mandorle e salamoia che anticipano l’amarena, mentre in bocca è particolarmente strutturata, si riesce a percepire l’azione del sole che si traduce in una frutta matura ed in minore acidità
I due assaggi più eclatanti sono la Croatina 2011 e la Termarina. La prima, di cui riposano in cantina appena tre barrique, comunica grandi emozioni. Naso eclettico, che spazia dal ribes alla prugna, alla pesca matura. Sensazione tattile in bocca assolutamente inebriante, con un tannino fiero, ma equilibrato, che risulta setoso, suadente, ed una chiusura che vira verso la pasticceria di grande eleganza. Il viaggio attraverso le diverse fasi evolutive della Termarina è didattico ed emozionale. Si parte dal 2012 che dopo un periodo di appassimento su teli è in fase di fermentazione ed è letteralmente un’esplosione di profumi: banana, pesca sciroppata, ananas in un turbinio multicromatico. La 2011 è in botte ed anche in questo caso come per la Barbera si nota la differenza d’annata con note più dolci di panettone e caramello date anche dalla maggiore maturità. Passati i due anni il vino entra in un circuito Solera e quando ne esce, ad occhi chiusi, sembra di bere un ottimo Sherry, con la differenza che il Canto del Ciò (così si chiama la bottiglia finita) è fatto a Varano de’ Melegari
I prodotti finiti ed imbottigliati sono l’apoteosi, il punto d’arrivo di un cammino di ricerca iniziato dalla vigna e che durante il tour della cantina ha iniziato a rivelarsi. In particolare il Vej, ottenuto da uve Malvasia di Candia in purezza, trasmette in maniera limpida e cristallina il pensiero di Alberto. Le due nuove versioni presentate quest’anno sono prodotti unici. La prima è il Vej 270 del 2007, 270 perché tanti sono stati i giorni di macerazione delle bucce all’interno del vino: nove mesi di cui sei a cappello sommerso. Al naso è piacevolmente agrumato, arancia e limone, mentre in bocca sfodera un bel tannino equilibrato in maniera esemplare da acidità e sapidità. L’uva è assoluta protagonista ed evolve in bocca descrivendo una parabola lunga e persistente. Un vino oltre. La seconda etichetta è il Vej riserva 2004, anno del primo imbottigliato di Alberto. È un vino volutamente ossidativo, che ha trascorso 40 giorni sulle bucce ed in pratica sei anni sulle fecce di cui gli ultimi in bottiglia. Nel 2010 è stato poi stappato, decantato e re-imbottigliato ed esce a distanza di altri due anni di riposo. Per approcciare un vino del genere bisogno sgombrare la mente e preparare lo spirito ad entrare in sintonia con un’idea, senza preconcetti. Ecco allora che affiorano note balsamiche, affumicate e di frutta secca, un’eleganza in bocca assolutamente inaspettata, un tannino leggero ed un’acidità ancora bella sostenuta nonostante gli annetti sulle spalle. Un vino da meditazione, ma da meditazione sul vino stesso, sulla sua origine e sul suo futuro. Un vino per riflettere e rendersi conto che seguire le proprie passioni, spesso, ti porta a raggiungere traguardi insperati
Davvero una bella visita quella al Podere Pradarolo, dove dovrò tornare ad assaggiare la cucina di cui per motivi di tempo non ho potuto, ahimè, godere
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati