Milano vive un paradosso.Pur essendo una piazza eccellente, sia in termini di numeri che di disponibilità, per il mercato dell’enogastronomia di alta gamma soffre di una strutturale carenza di eventi organici volti a comunicare e far percepire tutto il buono che uno dei comparti italiani che non accenna a conoscere crisi ha da offrire. Ecco allora che il Milano Food & Wine Festival, costola meneghina del celebre Merano Wine Festival, in concomitanza ad Identità Golose è una piacevole ricorrenza giunta alla sua seconda edizione per colmare questa imperdonabile lacuna

 

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Un Festival che da una parte consente al pubblico lombardo di conoscere le etichette di un’accurata selezione di produttori che hanno partecipato a novembre alla rassegna meranese, e dall’altra permette di entrare in contatto, soprattutto attraverso i piatti, con alcuni chef di grido italiani e non. Il programma degli show cooking dell’edizione 2013 è stato assolutamente serrato, partendo il sabato pomeriggio col dorso di coniglio dello chef Luigi Sartini della Taverna Righi di San Marino per terminare lunedì sera con Christian e Manuel Costardi dell’Hotel Cinzia di Vercelli. Nel mezzo nomi di assoluto pregio, con un focus particolare sulla ristorazione milanese

 

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C’era la possibilità di assistere a dei veri e propri spettacoli in cucina. Avere mostri sacri dello spadellamento moderno a pochi metri dai propri occhi (leggasi: obiettivo fotografico) intenti a preparare gustosi manicaretti a prezzo nazional popolare non capita tutti i giorni. Era sufficiente allontanarsi pochi metri dalla sezione dedicata ai vinosi espositori per immergersi all’interno di un turbine di profumi e sapori di grande espressività. Sì, però voleva dire mollare botta per mezz’ora, e poi quel bianco macerato georgiano non c’era più tempo di berlo! E la nuova annata del Cabernet Franc di Leuta? Perduta per sempre! Naturalmente lo scrivente non ha mollato il campo di battaglia per un solo minuto. A nulla sono valsi gli effluvi tentatori che arrivavano dall’altra parte della sala. Macchina fotografica in spalla, naso nel bicchiere e giù a degustare

 

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Non potevo certo perdere l’occasione di salutare i vecchi amici di Villa Job e di Col del Sas. Da una parte il Risic Blanc sapido e minerale che parla di Friuli e di tanta cura in vigna, dall’altra un Prosecco molto cru (il Rive di Solighetto) che ha fatto della sostanziosa freschezza, della finezza e di una bella acidità il proprio marchio di fabbrica, staccandosi in certo qual modo dalla produzione dei suoi vicini. Due storie di giovane imprenditoria (smettiamola di aver paura di usare questo termine) vinosa che stanno cogliendo nel segno. Per volontà, convinzione, testardaggine, ma anche umiltà, Alessandro e Marco ne avrebbero da insegnare anche a parecchi con qualche primavera in più alle spalle

 

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Non mi sarei mai perdonato di mancare l’appuntamento con quel raffinato e distinto signore che è il Camartina 1999 di Querciabella. Un vino completo, nel pieno della propria maturità, che non mostra il benché minimo segnale di cedimento, ma risulta imponente, fastoso, ampio, non teme di mostrare appieno le proprie qualità inimitabili. Un perfetto sposalizio dicotomico fra la sostanza chiantigiana del Sangiovese e l’incredibile finezza che quell’uomo di mondo che è il Cabernet Sauvignon riesce ad esprimere quando è messo nelle condizioni di farlo. Quando trova il terreno adatto, è colto al momento adatto, è affinato nel modo adatto ed è aspettato fino a pienezza. Somptueux

 

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E poi Champagne di maison grandi e piccole, con una bellissima scoperta all’interno di quella categoria difficile quanto affascinante dei Brut nature, e Nord e Sud e Alto Adige e Sicilia e bianchi e rossi e frutti e fiori e mele e pesche ed ananas. Come fare a rinunciare anche solo per mezz’ora a questa tempesta di profumi, di sentori, di inflessioni e di cadenze?

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Io non ci sono riuscito…

Il Fede

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati