Ogni cosa può essere osservata da molteplici punti di vista, illuminata da innumerevoli e cangianti sfumature di luce. I luoghi hanno significati diversi a seconda dei momenti della vita in cui li si visita e delle persone che ci accompagnano lungo il cammino. Ognuno di noi può vivere una data esperienza in compagnia di infinite altre persone senza che nessuno la viva nel medesimo modo. Ciò perché tutto ciò con cui entriamo in contatto viene filtrato dal nostro sistema percettivo, interpretato dalla nostra mente e amalgamato col nostro essere, unico e personale

 

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Il mio Merano Wine Festival 2013, ventiduesima edizione di quella che è la più rinomata kermesse enologica italiana, è stato fortemente esperienziale. Sono tornato a casa da Merano decisamente più ricco di quando sono sceso dal treno delle 18:15 (con mezz’ora di ritardo tutta accumulata sulla tratta Bolzano – Merano, pensa te non ci si può più fidare neanche delle ferrovie alto atesine) sulla banchina della piccola e affascinante cittadina tirolese. E non sono stati gli assaggi degli ottimi vini presenti al Festival, o per meglio dire non solo loro, a regalarmi la maggiore ricchezza che adesso fa parte integrante della mia persona

 

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Il Merano Wine Festival, per chi bazzica in giro per l’enomondo, è un incredibile concentrato di umanità. È un’occasione unica per ritrovare vecchi amici, rinsaldare relazioni ed intesserne di nuove, perché non bisogna mai dimenticare l’utilità del vino quale collante sociale, capace di lanciare ponti fra persone anche distanti fra loro. Il mio Merano Wine Festival è iniziato ufficialmente con un approfondimento sui bianchi austriaci, territorio da me colpevolmente misconosciuto e al quale sono stato inizialmente introdotto da quel gran palato che è Bruno Petronilli. La mattinata di sabato ho deciso di dedicarla, almeno in parte, alla scoperta dei Grüner Veltliner austriaci, una delle tantissime possibilità di vivere la sconfinata offerta enologica del Festival. Ben 12 produttori presenti personalmente nella sala della Kurhaus dedicata agli ospiti stranieri, molti dei quali proponevano vini prodotti a partire dall’uva maggiormente coltivata in Austria

 

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Espressioni diverse e diversamente intriganti di un vitigno che riesce ad attingere in profondità alle caratteristiche del terreno in cui è piantato. Ho così imparato che la prima differenza che costituisce uno spartiacque fra Grüner Veltliner austriaci più profondi, sapidi e complessi e altri più ampi, corposi ed alcolici è il tipo di terreno: loess e flysch. Il primo, sedimento eolico limoso dona ricchezza di profumi e finezza al vino, mentre il secondo è un sedimento composto da roccia di origine marina che imprime sapidita e grande corposità. Il viaggio inizia con i vini di Dürnberg, produttore a Falkenstein, nel nord del Weinviertel quasi al confine con la Repubblica Ceca. Qui il clima è fresco e ventilato, con inverni rigidi, ma estati particolarmente soleggiate che portano l’uva a perfetta maturazione dandole un bello spettro aromatico ed una corposità che in inglese definirei bold. Il terreno è di origine marina e la sua sapidità si trasmette senza filtro all’interno del vino. Il Rabenstein è ottenuto da vigne di circa 50 anni, e a seguito della fermentazione in acciaio riposa per circa un anno in botti da 10hl. È un vino persistente, salato, fragrante nei profumi freschi di fiori e frutta bianca e dalla gradevole piccantezza in bocca. Un bianco di grande godibilità da apprezzare di fronte ad un sole tramontante fra le vette alpine

 

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Merano Wine Festival vuol dire anche imbarcarsi con buoni amici in una “mezz’oretta di assaggi, che tanto adesso al banco c’è ancora poca gente” che si trasformano in mattinate passate a degustare grandi rossi toscani, scoprire nuove, piccole e accattivanti realtà e riconfermare la grandezza di veri capisaldi della produzione regionale. Così capita di aggirarsi sornioni in compagnia del, a mio insindacabile giudizio, miglior produttore di Moscato d’Asti che ti consiglia di assaggiare i vini di una piccola realtà di Montalcino. E scopri la bellezza soave e aggraziata del Brunello di Montalcino 2006 di Le Macioche, un vino dalla nobile finezza e dal carattere deciso, maturo di quella maturità che non teme gli anni ma che mostra ancora un fulgido cammino in ascesa. E subito dopo ti ritrovi immerso fra gli altrui ricordi del primo Sammarco del Castello dei Rampolla bevuto in Germania negli anni ’80 cui si accavallano i tuoi del primo Chianti Classico della medesima cantina, assaggiato in compagnia di un talentuoso enologo sudafricano globetrotter sposato con una scozzese ed innamoratosi di Greve in Chianti

 

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Tante piccole perle, ricordi che come sassolini ci si mette in tasca per non dimenticarsi di un attimo altrimenti barbaramente fugace. Immagini di voci che ci sono passate accanto e che abbiamo percepito per un istante oppure abbiamo ascoltato per ore. Profumi di intense note purpuree o dorate che ci hanno spalancato i sensi su di un mare di sinestetico piacere.

Ed è subito Relax

 

– End of part one

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati