Finalmente l’umidità raccolta nel terreno inizia ad evaporare sotto i raggi insistenti di un sole tanto timido nel fare la sua prima apparizione quanto spavaldo nello sfoggiare la sua potenza una volta risvegliato dal torpore primaverile. Le temperature salgono e l’asfalto inizia già a risentire dell’influsso cocente dell’astro ributtando calore e facendo scivolare i tacchi di signore e signorine nel suo viscoso abbraccio. Col caldo cambiano le abitudini alimentari, si ripone in soffitta il paiolo di rame della polenta a favore della pietra ollare per grigliare la carne sul balcone

 

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E con i primi caldi cambia anche la tipologia di vino che si consuma con maggiore piacere, si assiste ad una virata cromatica dai toni del rosso carico tipici dell’inverno ai viola più primaverili andando sempre più decisamente verso sfumature dorate che ricordano anche visivamente la stagione estiva. In mezzo a questa transizione si situano i rosati, vini di passaggio che aiutano l’appassionato a svernare in attesa della stagione più calda per dissetarsi con bianchi freschi e beverini. Ecco perché Italia in rosa, la manifestazione che si è da poco tenuta a Moniga del Garda, non poteva capitare in un momento migliore

 

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A villa Bertanzi, a un tiro di fionda dalle rive del Benaco, sponda bresciana, si è riunita una nutrita rappresentanza di produttori con in degustazione oltre cento fra le migliori etichette di rosato italiano. Naturalmente, vista la location, maggiore attenzione è stata dedicata alla produzione gardesana, col maggior numero di aziende presenti annoverate fra le file della DOC Valtènesi, seguite a breve distanza dai cugini veronesi del Bardolino. Prodotti generalmente freschi e di facile approccio che non ambiscono ad impegnare l’appassionato in una lunga tenzone, quanto a fargli compagnia il tempo di qualche chiacchiera, lasciandolo ristorato ed appagato

 

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Nella produzione gardesana spiccano due prodotti che, a mio parere, si distinguono dagli altri e per finezza e per ricerca di un’identità propria. Da una parte il Valtenesi Chiaretto 2012 de Le Chiusure, un prodotto elegante fin dal colore, di un rosa soave e delicato, che non vuole imporsi, ma tende invece ad incuriosire mentre il vino viene versato nel bicchiere. L’uvaggio di partenza è il classico Groppello, Barbera e Sangiovese che l’azienda riesce a bilanciare specialmente in acidità, operazione non semplice. Sull’altra sponda del lago risponde il Rosato veronese Marogne 2012 di Zeni, un nome che è sinonimo di Bardolino. Qui le uve di partenza sono quelle usate anche per l’Amarone: Corvina, Rondinella e Molinara ed infatti la bocca risulta più morbida ed avvolgente, pur mantenendo una bella freschezza, che fa vuotare il bicchiere quasi d’un sol fiato

 

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Ma di grandi rosati, andando a cercare, è piena l’Italia anche in zone in cui non ti aspetteresti di trovarli. Come ad esempio in Irpinia, terra di grandi rossi che però è capace di regalare anche belle emozioni su note più tenui. L’Irpinia rosato di Borgodangelo 2012 ha tutto il pedigree dei grandi Aglianico avellinesi, ma declinato in una veste più armonica e leggiadra. Il colore è carico e l’ingresso in bocca è da assoluto protagonista, ma proprio quando temi che possa strafare ti sorprende con una chiusura quasi rotondeggiante. Nasce invece da un omaggio al passato il Memorie di Fondo Antico, un rosato fuori dagli schemi attuali che riscopre antiche tradizioni che volevano il Nero d’Avola vinificato in rosa, ma con un affinamento da rosso. In questo caso il 2007 viene affinato prima in legno e poi lungamente in bottiglia prima di vedere la luce, acquisendo una complessità gustativa che pochi altri rosati possono vantare

 

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Ad Italia in rosa c’è stata anche la possibilità di fare la conoscenza di una piccola rappresentanza della zona che in Francia vuol dire rosato per definizione : Bandol. Cinque produttori con cinque interpretazioni diverse e molto personali dell’AOC provenzale. Da queste parti l’uva principe è il Mourvèdre, accompagnato di volta in volta da altri cepages in quote minori quali Grenache, Cinsault, Syrah e Carignan. I rosati di Bandol sono molto distanti dall’idea comune di questa tipologia di vino: acidità non eccessive, struttura tannica presente e buona complessità. In assaggio erano presenti sia l’annata 2012 che la 2011 con la prima decisamente più presente e completa della seconda. In generale una degustazione contenuta nei numeri, ma molto istruttiva per entrare in sintonia con un territorio dal grande fascino enologico

 

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Lasciate che il caldo si accanisca sulle città e mettete in frigo qualche bella bottiglia di rosato, non ve ne pentirete

Il Fede

            Senza nome

Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati