Alessandro Vannicelli è un giovane di 35 anni che ama la musica, l’arte, la comunicazione e Milano, ma non solo. Coltiva infatti, giorno dopo giorno, a fuoco lento come un soffritto la sua passione per la cucina. Dice di aver imparato a cucinare dalla mamma, che gli ha insegnato a curare ogni ingrediente, a sceglierlo e ad usarlo. Dal padre, invece, dice di aver preso il gusto di osare, per sorprendere. Da questo connubio nasce e si alimenta una passione che diventa poi una quotidianità, che oggi viene raccontata attraverso immagini e ricette nel suo primo libro: Schiscetta Perfetta
Schiscetta è un termine milanese, nato negli anni ’60 quando le tute blu e gli impiegati mangiavano sul posto di lavoro portandosi qualcosa da casa. Mettevano tutto in un contenitore di metallo spesso schiacciando in strati, e da qui poi deriva il nome, il risotto giallo e la classica cotoletta o le verdure. L’evoluzione della pratica di portarsi qualcosa da casa oggi diventata una tendenza seguita non solo da chi vuole risparmiare, ma soprattutto da chi preferisce consumare piatti sani ed equilibrati scegliendo gli ingredienti ed abbinando i sapori.
Alessandro ha unito così una passione ad una tendenza, la cucina di casa al luogo di lavoro, la voglia di stupire e l’amore per le ricette italiane. Ha mescolato tutto in un volume che annovera oltre 100 ricette facili e gustose che non vuole essere un borioso libro di cucina, ma una vera scuola per chi ha poco tempo e vuole imparare a muoversi fra i fornelli in un modo nuovo reinventando la tradizionale schiscetta in maniera moderna e gustosa.
Una volta sfogliato il libro, alcune domande mi sono nate spontanee ed ecco quindi di seguito una breve intervista in cui Alessandro ci racconta qualcosa in più su di sé ed il suo libro, buona lettura
- Alessandro Vannicelli, se dovessi descriverti come ti racconteresti a chi non sa nulla di te?
La musica, l’arte, la comunicazione, Milano, un numero, 35 (la mia età), e una passione, la cucina, coltivata giorno dopo giorno, a fuoco dolce, come un soffritto. Sono questi gli ingredienti che scandiscono il mio quotidiano. Non ho mai avuto un grande feeling con le definizioni o le etichette (nonostante, in tenera età, ne abbia fondata una in ambito musicale). Preferisco raccontare e raccontarmi per immagini.
Oggi lavoro in un’agenzia di marketing e comunicazione digital. Lo stesso ufficio dove, quasi ogni giorno, consumo la mia pausa pranzo “customizzata”. Vivo a Milano, la città dove sono nato e cresciuto, anche se, culinariamente parlando, le mie radici scendono fino in Puglia, dove è nata mia madre, da cui ho imparato l’importanza dei dettagli, la cura con cui ogni ingrediente va scelto e dosato.
Mio padre, da sempre “padrone” della cucina di casa dei miei genitori, mi ha insegnato il gustodi osare per sorprendere. È sostanzialmente a loro che mi rifaccio quando mi metto ai fornelli. Non sono una creatura mitologica di sacchiana memoria, con la barba di Cracco, gli occhiali di Barbieri e i piedi di Vissani. A volte mi piace lanciarmi nella ricerca della madeleine perduta, andando a ricreare nella mia cucina (un cucinino, non esageriamo), i sapori della mia infanzia, con cui sono cresciuto.
Come la parmigiana che preparava mia madre la domenica mattina (io a quell’ora tentavo di riprendermi dai postumi del sabato sera). O come il gattò (o gateau) di patate, un suo vecchio cavallo di battaglia, che, col tempo, è diventato anche uno dei miei piatti forti.
Sono i sapori a cui non ho mai rinunciato, per questo ho deciso di portarmeli anche in ufficio. In questo, lo ammetto, sono un po’ choosy.
- Il tuo più grande talento?
L’ironia.
Una dose di ironia in ogni piatto che mi propone la vita, se così si può dire. Il saper sorridere e non prendersi mai troppo sul serio aiuta nel rapportarsi con le persone e con se stessi.
- Il libro: come è nato, perché, dove lo troviamo, raccontacelo
Parto dal blog. Ho ed avevo una grande passione per la cucina, lo star bene a tavola e 2 anni fa quando mi sono chiesto “come posso trasferire su un blog questa passione?” – Non volevo fare l’ennesimo blog di ricette, (non perché volessi essere alternativo a tutti i costi) ma aprire uno spazio che fosse vicino alle mie abitudini, come quelle dei miei amici e colleghi di lavoro, e la schiscetta era quello che cercavo. Schisciando in qualche modo è un verbo coniugato, uno “stile di vita” come cito all’interno del blog. Il libro era nella mia testa da un po’ di tempo, un sogno che avevo riposto nel cassetto, senza mai aprirlo per non pensarci troppo.
Poi una mattina, dopo l’uscita di una mia intervista su un magazine ricevo una mail : “Ciao, siamo rimasti colpiti dal tuo blog, se lo facessimo diventare un libro? Ti va di parlarne?”
Da quella mail è seguito un incontro, entusiasta con DeAgostini e nel giro di poco siamo partiti con il progetto. Un ottovolante di emozioni mi travolge da qualche mese a questa parte, ho passato le vacanze di Natale e Gennaio a scrivere il libro e ora lo trovate in tutte le librerie. Il libro l’ho scritto con un tono colloquiale, non è il solito manuale di cucina, ci trovate aneddoti personali, storie di amici. Un po’ di vissuto legato alle schiscette che ho inserito. Ho provato a scrivere il libro che avrei voluto avere quando ho iniziato a muovere i primi passi in cucina. Andiamo da capitoli come “Le Cover”, un omaggio diretto al mio passato professionale in ambito musicale, le cover sono una reinterpretazione di classici di altri artisti, io affronto i classici della cucina italiana, alla mia maniera. Poi ci sono altri capitoli come “Un pieno di verde, grazie”, dove propongo ricette vegetariane sfiziose, “Carboidrato Mon Amour” dove esprimo la mia gioia e dipendenza per i piatti a base di pasta e riso etc etc., Carnazza – dove trovate ricette come quelle delle polpette ignoranti, ispirate al film di Fernza Ozpetek “Le fate ignoranti”, Zuppe di conforto, con qualche zuppa che ci coccola quando fuori e dentro fa un po’ freddo…Insalate Sexy, per elevare il concetto di insalata rendendolo più intrigante
- Alimentazione, vita sana e sport. Cosa ne pensi? Pratichi? Consigli?
Sono tutti elementi primari dello stare bene, prima di tutto con se stessi. Non posso che pensarne bene, è vero che alcune volte capita di non riuscire a conciliare questi elementi, vuoi per il lavoro, che in questo periodo risulta sicuramente più stressante rispetto a qualche anno fa, vuoi per gli impegni “mondani e non”, che portano spesso a pranzare o cenare lontani da casa, consumando pasti veloci e poco sani. Ho iniziato a praticare regolarmente sport, stupendomi di quanto sia bella la sensazione positiva che ti da una corsa al parco o una nuotata in piscina, piuttosto che del sano esercizio in palestra. Ero un convinto sostenitore della pratica sportiva e olimpionica del “lancio dei coriandoli”, e invece ora mi trovo a godermi un centrifugato mela, carote e zenzero dopo una corsa al Parco Sempione, rispondendo alle tue domande. Sarà l’età che mi ha fatto diventare più saggio? Qui lascio a te la risposta…non voglio cantarmela e suonarmela 🙂
- La domanda che avresti voluto: quale è ? cosa ci avresti risposto?
Cosa pensi del foodporn? Lo vedi come negativo e una forma compulsiva di “consumare” e vivere il cibo?
Il cibo in Italia sta prendendo una piega osè si è intuito ben prima della famigerata copertina “Cracco con pesce e modella nuda appesa al collo”, che ha definitivamente assurto lo chef o presunto tale al ruolo di sex symbol.
E’ scoppiato il #foodporn, la mania di fotografare il cibo per poi divulgarlo via social network. Una roba da guardoni insomma, perché c’è qualcuno che fa e l’altro che dalla serratura/smartphone immortala in posizioni voluttuose la creazione, con tanto di focus su creme e salse che debordano lascive. E con ciò l’erotismo squarcia definitivamente il velo simbolico che lo legava al cibo e diventa partner ufficiale di un nuovo modo di concepire il suo consumo. Lo vedo positivo. Come ogni cosa, va vissuta con moderazione, ma non mi scaglio contro la pratica, ma la difendo perché in realtà è un modo di estendere l’ospitalità, aggiungendo un posto a tavola. In questo caso la rete e si suoi fruitori che possono godere “virtualmente” delle pietanze che prepariamo e consumiamo. Poi, perché no, prendere qualche spunto e diffondere il concetto di cibo sano e … godurioso. Alla fine il buon sesso non inizia anche in tavola?