Tutti noi, a volte, cadiamo vittime di preconcetti. Talvolta perché sono gli altri a valutarci sulla base di idee preconcette che non hanno un riscontro nei fatti, ma si basano solo su sterili generalizzazioni. Talaltra perché siamo invece noi che tendiamo, in via semplicistica, a considerare fatti e persone sulla base di pregiudizi che non sono frutto di effettive esperienze, quanto di superficialità e pigrizia mentale. Come ciò è valido in linea generale lo è anche quando si considera il mondo del vino, tante volte siamo portati a sminuire e dare per scontate intere aree di produzione sulla base di pochi assaggi, di sentito dire oppure di quella supponenza che porta a porsi ad un piano superiore rispetto al vino bevuto

 

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Io, naturalmente, non sono immune a questa dinamica. Uno dei preconcetti che avevo fino a qualche tempo fa, lo ammetto, era che i chiaretto del Garda fossero vini con poca anima, quasi indistinguibili fra di loro e poco degni di nota. Era un pernicioso pregiudizio nato da pochi assaggi casuali che non avevano particolarmente entusiasmato, ma che non potevano in alcun caso essere ritenuti rappresentativi della produzione di una zona che, fra Valtènesi, Bardolino e la più ampia Garda, copre superfici vitate di decine di migliaia di ettari, con un panorama climatico e geologico quanto mai ampio e diversificato

 

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Ci voleva un incontro per farmi cambiare idea radicalmente sulla questione e farmi guardare ai rosati del Garda, i Chiaretto, con un occhio nuovo. L’incontro è avvenuto all’edizione scorsa di Italia in Rosa, dove ero andato con l’intento espresso di rivoluzionare la mia visione in tema di rosati. L’azienda in questione è Le Chiusure ed è stato proprio il Valtènesi Chiaretto di Alessandro Luzzago ad aprire gli occhi che prima erano chiusi su di un mondo fatto di rosati di animo fino e carattere mite, profumi aggraziati e acidità equilibrata tanto quanto ficcante. Così sulla scorta dell’assaggio dell’ottimo Chiaretto 2012 e dell’ulteriore incontro alla fiera dei vini di Piacenza della FIVI, dove il suo Malborghetto è stato senza ombra di dubbio uno degli assaggi più coinvolgenti, mi sono finalmente risoluto ad andare a visitare l’azienda ubicata a Portese, raccolta frazione del comune di San Felice sul Benaco

 

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Portese si trova nell’ansa del lago di Garda a oriente di Salò e in passato era fittamente vitata, come testimoniano le fotografie storiche che ritraggono questi luoghi nei tempi che furono. Oggi il prezzo della terra in queste zone litoranee non consente più l’utilizzo a scopo agricolo, pratica purtroppo soffocata dal preoccupante addensarsi di seconde case e strutture ricettive che sottraggono terra fertile e preziosa. Così il piccolo fondo della famiglia Luzzago, di natali bresciani ma fieri difensori del territorio lacustre, è un gioiellino di poco più di due ettari incastonato al centro di un paesino dalle case basse e le strade strette. Il lago è veramente vicino, in linea d’aria saranno forse 100 metri, e il suo influsso si sente in maniera nitida e confortante nei vini de Le Chiusure

 

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Di Chiaretto 2012 non ce n’è più, mentre il 2013 dovrebbe essere stato imbottigliato proprio in questi giorni. Vista l’occasione ho avuto la possibilità di assaggiarlo in anteprima direttamente dalla vasca ed è stata una rutilante riconferma. Già il colore ammalia, con quella tonalità tenue di rosa che non manca di brillantezza, ma non eccede in saturazione, trasmettendo concetti di gaia giovinezza, spensierata freschezza, rinvigorente allegria. I profumi sono nettamente floreali, di fiori primaverili freschi e fragranti, di rose delicatamente tamburellate da un’acquerugiola di aprile e di fiori bianchi. Il sorso è piacevolmente rinfrescante, con una spiccata acidità che conferisce una dimensione verticale importante e la salinità generata dai terreni morenici del lago che sosta sulla lingua e richiama insistentemente il sorso successivo

 

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I vini della DOC Valtènesi sono prodotti a partire da uve Groppello in prevalenza, poi Barbera, Marzemino, Sangiovese e Rebo. Così è per il Chiaretto, per il rosso e anche per il Campei. Il Malborghetto invece esce dai canoni classici della DOC per formare un vino di diverso carattere e complessità. Etichetta di punta della cantina, il Malborghetto è un rosso di importante struttura che invecchia con grazia, come è stato possibile apprezzare proprio a Piacenza attraverso l’assaggio in verticale delle annate dalla 2007 alla 2010. Il vino è un’interessante unione di un vitigno “moderno” nato all’Istituto Enologico di San Michele all’Adige come incrocio fra Merlot e Teroldego, il Rebo, e di uno dei più blasonati vitigni a bacca rossa internazionali, proprio il Merlot che del Rebo è padre. Un rosso da lungo e sereno affinamento dalla consistenza setosa e che equilibra un corpo importante con la freschezza tipica dei vini del lago

 

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Una bella azienda quella della famiglia Luzzago, che cocciutamente continua a produrre ottimi vini là dove sarebbe più facile e redditizio impiantare fondamenta di cemento che diano vita a villette bifamiliari con gemme paraboliche e tralci elettronici. Mi auguro con tutto il cuore che sia d’esempio e che altri seguano il solco tracciato nelle morene della Valtènesi

 

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini  | Tutti i diritti sono riservati