Tredici non è un telefilm da lieto fine. Scordatevi la solita storiella adolescenziale, perché la prima puntata parte già – dalla fine – e vi verrà spiattellato tutto dal principio. Il tutto diventerà un susseguirsi di scene flashback. Di puntata in puntata si scopriranno nel dettaglio “thirteen reasons why” i tredici motivi per cui Hannah Baker, la protagonista, ha deciso di togliersi la vita.
“Ciao, sono Hannah. Hannah Baker. Esatto. Non smanettate su qualunque cosa stiate usando per ascoltare. Sono io. In diretta e stereo. Nessuna replica, nessun bis e questa volta assolutamente nessuna richiesta. Mangia qualcosa e mettiti comodo, perché sto per raccontarti la storia della mia vita. Anzi, più esattamente, il motivo per cui è finita. E se tu hai queste cassette, è perche sei uno dei motivi”.
Se ne è parlato tanto, forse addirittura troppo, dello scandalo derivato da questa serie TV di Netflix prodotta da Selena Gomez (online dal 31 marzo scorso). Tratta dall’omonimo romanzo di Jay Asher, Tredici racconta in 13 episodi i momenti di interazione tra Hannah e i suoi compagni di liceo, il rapporto coi genitori, professori e la vita scolastica.
Il co-protagonista Clay Jansen, interpretato dall’attore Dylan Minnette, segue tutto il percorso narrato dalla voce guida di Hannah (Katherine Langford) ascoltando con il walkman sette audiocassette, i tredici lati di ogni storia. Perché, prima di compiere il gesto estremo, lei ha inciso sui nastri ciò che ogni giorno ha subìto e che non le dava pace. Le cassette devono passare dalla prima persona della lista all’ultima, altrimenti potrebbero essere poi diffuse pubblicamente.
Perché Tredici sta sconvolgendo il pubblico?
Tredici sono le persone coinvolte con il suicidio di questa ragazza diciassettenne, troppo debole per superare tutto da sola. Una vita che si spezza, una storia d’amore che muore sul nascere. Questo telefilm tocca punti e argomenti che credo nessun altra serie TV abbia mai fatto prima. Affronta temi come bullismo, cyberbullismo, depressione, suicidio, violenza, mancanza di fiducia in sé stessi, stupro, dipendenza da alcool e droghe, abbandono, omosessualità, violazione della privacy, auto colpevolezza degli eventi esterni, amicizie rovinate e amori non corrisposti.
Argomenti non proprio leggeri, da vedere con cautela perché a dir poco shoccanti. Per questo c’è chi si schiera contro la visione di queste puntate, soprattutto per chi soffre di determinate malattie mentali. Dall’altro lato c’è chi invece è a favore della divulgazione nelle scuole superiori, in modo che se ne parli il più possibile, anche se in Canada è già stata vietata ogni forma di discussione all’interno delle scuole, perché considerata troppo negativa. Lo scopo sarebbe in ogni caso quindi quello di aiutare le persone che soffrono, spingendole a confidarsi, quando per loro è tutto difficile e buio.
Ma la loro storia non è finita. Sulle note di “The Night We Met – Lord Huron”, ormai entrata nella mia playlist di Spotify, aspettiamo tutti l’inedita seconda stagione. Sperando che superi le aspettative del pubblico di Netflix (me compresa).
Articolo scritto e redatto da Sara Parmigiani | Tutti i diritti sono riservati