Il naso di chi anela al vino come ad un Eldorado, una terra promessa, una via di fuga non sente i profumi come quello degli altri. Chi vive il vino come una sana passione, chi ancora è capace di emozionarsi di fronte ad una bottiglia, chi ritiene che il punto più alto della parabola enoica sia entrare empaticamente in contatto col produttore che si trova di fronte non percepisce il vino come un prodotto agricolo, ma più come l’espressione della sensibilità di una persona transustanziata all’interno di una bottiglia

 

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Orsù dame e lorsignori, perdonatemi questa divagazione ed andiamo al sodo. La bella degustazione ideata a Pollenzo da ArteVino dal nome evocativo di Le Loro Maestà è stato per me un evento iniziatico. È stata la prima occasione in cui ho potuto entrare in contatto in modo più approfondito col mondo dei vignerons di Borgogna, avvertirne la sensibilità ed apprezzarne i prodotti. Aggirandomi per la sala dell’Albergo dell’Agenzia, gremita di gente a livelli di traffico in tangenziale est alle 8 di mattina, ho potuto chiacchierare un po’ con i vignaioli d’Oltralpe dei loro vini, della loro terra, della loro storia

 

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Quello che mi ha colpito di queste persone, sia che si trattasse di proprietari di realtà affermate sia che provenissero da piccole cantine meno note, è stato il forte senso di appartenenza al gruppo ed il conseguente sano orgoglio che deriva dalla consapevolezza di essere, in qualche modo, unici. Parlare di Borgogna è alquanto dispersivo, il territorio identificato da tale toponimo comprende infatti 100 AOC (le nostre Denominazioni di Origine) per circa 28 mila ettari vitati. Un territorio sconfinato all’interno del quale il vitigno per eccellenza, il Pinot Noir, esprime un caleidoscopio di sfaccettature diverse, leggere sfumature di profumi e note cangianti al palato

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Di fianco alla bellissima selezione di produttori borgognoni (25) un’altrettanto nutrita e selezionata rappresentanza di vignaioli langaroli. Vecchi amici e nuove conoscenze che, attraverso le tante (circa 50) etichette messe in degustazione hanno presentato quanto di meglio la terra di Piemonte ha da offrire quando si parla di Nebbiolo. La cosa davvero fantastica che è successa a Le Loro Maestà è stata proprio questa mescolanza di produttori che correvano da una parte all’altra della sala col bicchiere in mano come ragazzini in un negozio di dolciumi con una curiosità incredibile. “Si après vous voulez, vous pouvez passer essayer mes vins, je suis au 47 “, “Con piacere, sono contento che il mio vino le sia piaciuto, magari potremmo scambiarci un paio bottiglie”. Lo spirito che si respirava era di grande comunione di intenti, rispetto reciproco e sano desiderio di apprendere. Assolutamente fantastico

 

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In questo clima etereo e luminoso si sono potute assaggiare delle vere e proprie piccole perle che, almeno al mio palato di novizio, sono apparse come fulgide comete vinose. Tre assaggi su tutti hanno folgorato le mie papille gustative per fascino, sostanza e delicatezza.  Il primo è stato il Morey-Saint-Denis 1er Cru aux Chezeaux 2010 della Domaine Arlaud, un concentrato materico di fugace eleganza e velata speziatura di lunghezza indefinita, sognante. A seguire il Corton Bressandes Gran Cru 2009 della Domaine Chandon de Brailles, forse quello che più di tutti mi ha ricordato il vecchio adagio “un pugno di ferro in guanto di velluto” spesso usato per descrivere il Pinot noir della Borgogna, possente e suadente insieme, perfettamente sferico. Il terzo (in ordine di degustazione, non di piacere) è stato il Chapelle-Chambertin Gran Cru 2009 di Drouhin-Laroze, un magnifico equilibrista, affascinante da qualsiasi angolatura lo si guardi

 

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Anche il Piemonte schierava alla linea di partenza una impressionante batteria di cavalli di razza. Decretare i tre (per par condicio) che maggiormente mi hanno colpito non è semplice tanti sono stati gli assaggi memorabili. Ma se proprio devo selezionare i tre che più di tutti mi hanno trasmesso l’essenza della loro terra dico: Cavallotto, Conterno e Gresy. Il Barolo riserva Bricco Boschis Vigna san Giuseppe 2006 di Cavallotto è il miracolo di fare un vino elegante ed aggraziato in un’annata dalla carica tannica strabordante, un vino senza fine. Il Barolo Sorì Ginestra 2008 di Conterno Fantino è una serie di punti esclamativa sul taccuino, avvincente, solare, amichevole ed accogliente. Il Barbaresco Martinenga Camp Gros 2004 dei Marchesi di Gresy ha quell’eleganza tipicamente sabauda: innata, austera, che rivela il lusso solo nei piccoli particolari e che ti si fissa nella memoria  (le foto sono di altre bottiglie che mi hanno colpito, per non fare torto a nessuno)

 

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Un’esperienza memorabile nel vero senso della parola

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Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati