Si contano nel mondo oltre 300 varietà di mais, diverse per forma e colore dei chicchi o per caratteristiche colturali. Ma il più ricercato e raro è sicuramente il mais ottofile.
Nella Cascina delle Grazie, una piccola azienda agricola che si estende su una superficie di 8 ettari nella valle di San Bovo di Castino, nella Alta Langa cuneese, luogo incontaminato, in cui convivono una natura straordinaria, un’accoglienza riservata e genuina, ricchezze storiche e artistiche ancora da scoprire, orchidee selvatiche in tutto il loro splendore, cibo e vini d’eccellenza, le produzioni dell’azienda seguono un programma di riduzione dell’impatto ambientale attraverso la limitazione dell’uso delle sostanze chimiche. Il proprietario, Matteo Zappino, racconta che qui la farina è la pregiata e rarissima varietà di meliga “ottofile della Langa”, antico mais piemontese, speciale nel gusto e nel profumo, frutto della selezioni delle pannocchie migliori da generazioni che annualmente si conservano per la semina. Dal mais ottofile si ricavano farine per polenta e farine per pasticceria ideali per polente, ricche e saporite, paste di meliga, pane di mais o “miasse”, tagliatelle, tajarin, grissini.
L’ Ottofile, conosciuta anche come meliga del Re, melia du re, perché il re Vittorio Emanuele II, amante di polenta e selvaggina, ne aveva imposto la semina, ha una spiga cilindrica di otto ranghi, granella grossa, tutolo bianco, colore variabile dal bianco, al giallo, al rosso.
Oggi, come ieri, nulla è cambiato. Semina ad aprile con raccolto alla fine di agosto, manualmente o tramite trebbiatura manuale, essiccazione al sole. La lavorazione avviene con macine in pietra naturale a lenta rotazione e setacciatura. Solo le grandi pietre delle macine antiche lavorano il mais riducendo in farina la parte interna del chicco e lasciando più grossolana la pelle, composta solo da lignina, così da consentirne l’eliminazione durante la setacciatura. In questo modo è possibile produrre una farina integrale, ricca di preziosi elementi, come il germe e la fibra alimentare della meliga, essenziali per riscoprire il sapore e la genuinità della farina integrale. Infatti, la macinazione su pietra lascia nella farina tutte le parti di cui è composto il chicco, compresa la parte più pregiata. Il germe viene, in questo modo, spappolato e macinato e si amalgama. Nella macinazioni industriali frazionate, il germe viene, invece, separato e tolto dalla farina.
A causa della sua delicatezza e fragilità, l’ottofile venne soppiantato nel dopoguerra da varietà ibride di origine americana, per la maggior semplicità di coltivazione.
Negli anni Sessanta e Settanta, la tradizione di consumare polenta era andata progressivamente perdendosi insieme all’abitudine di seminare i mais tradizionali, preferendo polente preparate con le varie farine industriali (bramate e semolate) dai tempi di cottura più brevi e di più facile reperimento, ma dalle caratteristiche organolettiche piuttosto anonime.
A cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, si è iniziato un paziente lavoro di ricerca degli ultimi contadini che ancora seminavano le varietà di meliga e, solo grazie all’intraprendenza di imprenditori appassionati, come il padre di Zappino, o i proprietari della Durando di Portacomaro, ispirati dal recupero di un mulino a pietra del 1890, o a Nandino De Stefanis, agricoltore di Antigliano nell’astigiano che dagli Anni ’50 coltiva autonomamente l’ottofile. portando poi il mais a macinare in un mulino a pietra nella vicina San Martino Alfieri: ai suoi tempi, il pane ottenuto con questa farina era chiamato ‘pane del tempo di guerra’.
Se desiderate provare a cucinare delle deliziose paste di meliga, secondo la ricetta tradizionale, preparate 1 kg. di farina di frumento 0,500 kg. di farina ottofile, 1 kg. di burro, 0,700 kg. di zucchero, 5 uova intere, 10 gr. di sale,1 scorza di limone grattugiata, 1 bustina di lievito.
Incorporate bene il burro, lo zucchero con le uova, il sale e la scorza di un limone. Setacciate la farina con il lievito e impastate il tutto. Fate riposare una decina di minuti in luogo fresco. Inserite l’impasto nell’apposita siringa con il disco a stella e formate degli anelli del diametro esterno di circa 5 centimetri. Imburrate sui lati e al centro una leccarda e foderatela con carta da forno. Mettete in forno a 180 gradi per 15/20 minuti, fino a che le paste non saranno ben dorate. Accompagnate i biscotti con zabaglione, un vino passito, un Moscato d’Asti o un Dolcetto delle Langhe Monregalesi.
Si narra che, a fine pasto, Camillo Benso Conte di Cavour, amante della buona tavola, fosse solito concedere al palato due paste di meliga servite con del Barolo chinato e che tra il 1700 e il 1800, questi biscotti, abbinati alla cioccolata calda, figurassero tra i dolci delle ricche colazioni negli eleganti e aristocratici caffè torinesi.
Articolo scritto e redatto da Daniela Rigoni | tutti i diritti sono riservati
Photo Credits: Google| Tutti i diritti sono riservati