Non ho mai vissuto all’estero. Questo non fa di me per forza una persona follemente innamorata del suo Paese o, al contrario, insofferente della propria patria per i troppi anni passati qui. Sono, semplicemente, un’italiana che vive a pochi chilometri da dove è nata, che ha deciso di stabilirsi, almeno per il momento, a Milano e che guarda alla provincia da cui proviene senza immalinconirsi troppo.

 

Credo di vivere in un Paese pieno di contraddizioni e zeppo di cose che non funzionano come dovrebbero. Sento di attraversare un momento di crisi profonda che colpisce cultura e società e che volente o nolente arriva fino a me.

 

Non credo però che vivrei altrove. Rimango qui e, per quanto mi sia in potere di fare, cerco di capire come cambiare alcune cose. Segnalo alle autorità competenti ciò che non va; quando i miei vicini fanno troppo casino chiedo loro di avere (più) rispetto per me e per gli altri condomini; se vedo che il padrone di un cane non raccoglie gli escrementi della sua bestiola gli chiedo per piacere di farlo; cerco di far capire ai miei clienti insolventi che così facendo producono un circolo vizioso che si ripercuote su di me, su altri e, di ritorno, anche su loro stessi; e così via.

 LA PAROLA A RAFFAELLA

E a fare tutto questo, quasi tutti i giorni della mia vita, non mi annoio per niente: sono un’inguaribile idealista, vagamente ottimista, e spero che così facendo nel futuro ci possa essere meno necessità di rompere le scatole. Penso che se voglio vivere qui devo fare in modo che l’ingranaggio si guasti il meno possibile e, nel caso in cui succeda, che possa essere facilmente riparabile.

 

Qualche tempo fa ho letto un articolo che elencava una serie di luoghi comuni degli italiani all’estero: a me italiana in patria ha fatto sorridere. Gli amici che invece da anni risiedono e lavorano fuori dai confini si sono arrabbiati. Molto.

Allora ho pensato di scrivere le 5 cose che un italiano all’estero si perde dell’Italia. Sono cose belle, perché anche noi idealisti ottimisti rosichiamo già abbastanza sapendo che i nostri connazionali fuori confine non devono vivere quelle brutte direttamente sulla loro pelle. A quelle ci pensiamo noi (vedi sopra).

 

  1. Vivere l’atmosfera del bar. Il tipico bar italiano è uguale ad Aosta e a Palermo. L’arredamento è spesso datato, l’odore nell’aria inconfondibile (una volta si fumava nei locali!), il caffè lo bevi in piedi e se il barista ti conosce ti chiede se vuoi il solito. Tradizionalmente nei bar ci sosti pochissimo, giusto il tempo di un caffè, di una brioche se fai colazione e di un succo se vuoi allargarti. Non sarà il locale accogliente e super cool dove invece fai l’aperitivo, ma c’è un altro posto che profuma di ‘casa’ come il bar italiano? Per me no.
  2. Guardare film/telefilm doppiati. Ora lo so che da quando c’è lo streaming state tutti lì a guardarvi la qualunque in lingua originale con al massimo i sottotitoli in italiano. Io vi stimo assai, ma la comodità di guardare film e telefilm già doppiati nella propria lingua madre per me è impagabile soprattutto dopo una giornata di fuoco al lavoro e con l’unica voglia di rilassarsi e spegnere il cervello.
  3. Capitare per caso in un locale dove si suonano canzoni popolari e trovarsi a cantarle senza ricordare dove le si sono imparate. Se volete provare l’ebbrezza di un’esperienza così vi consiglio Mandi!: qualunque sia il vostro umore all’ingresso, uscirete forse senza voce, ma sicuramente felici. E sì, quella canzoncina lì che ora vi risuona nella testa era quella che vi cantava la nonna quando eravate piccolini. Bello no? Astenersi timidoni e fighetti rigidosi.
  4. Parlare di cibo come se fosse una cosa davvero seria. Qui per il cibo ci si scanna, in senso buono. Il cibo diventa un serissimo argomento di conversazione e più a Sud vai più la questione si fa di un certo peso. Sarà che ho un debole per tutto ciò che è edibile, ma io vado pazza per i dialoghi seri a tema cibo: esiste qualcosa di più italiano, surreale e godibile di ciò? Per me no.
  5. Scrivere questo elenco, rendersi conto che è troppo corto, parziale e superficiale e che c’è quindi tempo e modo per scriverne mille altri.

 

ndr.

Raffaella Amoroso The Coloured Sauce Vive a Milano, ma è comasca, è alta, qualcuno dice anche un po’ goffa, ed è molto, molto curiosa.

Per sua nonna la sua professione è ancora un mistero, qualcosa di un po’ esotico che ha voluto le appuntasse su un bloc notes così da non potersene dimenticare quando parla con le amiche al telefono. Fa la digital PR, la copywriter e la blogger e vive questa sorta di schizofrenia professionale in modo del tutto sereno e naturale.