Si narra che i monaci di Chiaravalle, i primi produttori, lo chiamassero caseus vetus, formaggio vecchio. Il popolino però, poco avvezzo al latino, gli diede un nome derivante dalla particolarità della sua pasta compatta e granulosa. Dal formaggio di grana, lodigiano, piacentino, milanese, parmigiano e mantovano, al Grana Padano DOP, unico nome con il quale è lecito chiamarlo oggi, sono passati quasi 900 anni, ma il protagonista di tante tavole italiane non è mai parso così arzillo.

In occasione di Expo2015, il Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano ha pensato di fare le cose in grande allestendo un vero e proprio caseificio all’interno della Cascina Triulza, il MI2015, capace di produrre due forme al giorno che verranno vendute all’asta per finanziare l’Ospedale Pediatrico di Haiti.

Stagionatura

Caseificio MI2015 (5)

Il Consorzio nato nel 1954 non ha, è bene ricordarlo, scopo di lucro, e come unica finalità ha quella di promuovere e proteggere il Grana Padano e la sua Denominazione (il conferimento della DOP è del 1996); non fa promozione pubblicitaria a un brand, ma ma a un marchio distintivo di un prodotto DOP: in sostanza il Consorzio promuove l’agricoltura italiana e chi ci lavora (tra caseifici, stagionatori, confezionatori, aziende che conferiscono latte si arriva a dare lavoro a 40.000 persone e più di 4.500 aziende).

Il Grana Padano è anche protagonista di una dieta , emanazione del programma Educazione Nutrizionale Grana Padano, in quanto alimento sano e concentrato di nutrienti del latte: per un kilo di formaggio ci vogliono ben 15 litri di latte crudo, proveniente esclusivamente dalla zona di produzione; i grassi sono pochi e il colesterolo assunto è in misura più che accettabile per un’alimentazione equilibrata; calcio in abbondanza, proteine, minerali e vitamine ne fanno un importante ingrediente di una dieta corretta.

E allora, come “si fa” il Grana Padano? Abbiamo avuto la fortuna di assistere alla nascita di una forma, a Expo, e il procedimento richiede pochi ingredienti, alcuni buffi attrezzi “del mestiere”, una grossa caldaia di rame a forma di campana rovesciata, tempo e passione (l’Ingrediente degli ingredienti).

Al latte versato nella caldaia viene aggiunto il siero innesto naturale e viene poi portato a una temperatura di circa 33°. A questo punto si aggiunge il caglio di vitello per la coagulazione: quando la cagliata è pronta, viene rotta con lo spino, un bastone con a un’estremità una sfera fatta di strisce di metallo molto affilato con all’interno delle vere e proprie spine, e successivamente cotta fino ai 53-56°. Ora la massa caseosa si deposita sul fondo della caldaia e lì viene lasciata a riposare fino a un massimo di 70 minuti, per rassodarsi. Infine, i casari, la sollevano con un bastone e un telo di lino e la mettono nella fascera, dove starà ben compressa per 12 ore, dopodichè tra la fascera e il formaggio verrà posta una fascia marchiante con impressi numero di matricola del caseificio, provincia e mese e anno di produzione e i tipici rombi tratteggiati con riportata la dicitura Grana Padano. Il nostro formaggio è fatto, nei primi 14 giorni verrà salato e asciugato e potrà iniziare la stagionatura che andrà dai 9 ai 20 mesi: al nono mese verrà “testato” con martelletto, ago e sonda per poi ricevere il marchio a fuoco, senza il quale non può essere commercializzato come Grana Padano DOP.

 

Sano, nutriente e ottimo per una dieta equilibrata, messo all’asta con finalità benefiche, fonte di lavoro e di sostentamento per tante famiglie, non scordiamoci di una cosa importante: grattugiato, a scaglie o sotto forma di raspadura (deliziosi veli ricavati da una forma giovane), il Grana Padano è buonissimo ragazzi!

Enjoy!

Marchiatura

Immissione latte in caldaia

Estrazione

Rottura della cagliata

Messa in fascera
GRANA PADANO - EXPOArticolo scritto e redatto da Lorenzo Volpi | Tutti i diritti sono riservati