Ad un solo episodio dal finale di stagione possiamo iniziare a tirare le somme di ciò che ha rappresentato The Leftovers in questo panorama telefilmico estivo.
La serie ha fatto il suo debutto sul canale statunitense via cavo HBO il 29 giugno, raccogliendo attorno a sé tanta attesa e curiosità, soprattutto dovute alla presenza di un nome illustre tra i creatori: Damon Lindelof (chiedersi “e chi sarebbe?” non è tra le opzioni, in tal caso un certo LOST vi ricorda qualcosa?). Quasi contemporaneamente la serie è stata trasmessa anche da Sky Atlantic, sia in versione originale sottotitolata per i più impazienti, sia, successivamente, interamente doppiata in italiano.

Subito dopo la messa in onda del pilot il mondo dei telefilm addicted è letteralmente esploso in una serie di giudizi così contrastanti da confondere. Risultato: anche ora, con all’attivo nove episodi su dieci trasmessi, pare che The Leftovers non conosca mezze misure. O lo si odia, o lo si ama.
I primi, i detrattori, lo accusano di essere lento, irrazionale, assurdo e di non capire dove voglia andare a parare. I secondi, i sostenitori, affermano paradossalmente le stesse cose, considerandole tuttavia come elementi prettamente positivi. Il tutto sta nello stabilire cosa si cerca in questa serie.

The leftovers cover

The Leftovers è tratta da un romanzo di Tom Perrotta e narra le vicende di una cittadina, Mapleton, New York, tre anni dopo un incredibile e tragico avvenimento: la scomparsa del 2% della popolazione mondiale, letteralmente “svanita nel nulla”, come ricorda il titolo italiano.
Da questa premessa è facile pensare come gran parte del pubblico si aspettasse che ad essere trattati nel corso degli episodi fossero i misteri legati a questo evento inspiegabile ma qui The Leftovers è parso chiaro fin da subito: non si indagano i perché e i come della sparizione, bensì il modo in cui la vita delle persone rimaste, di quelle “lasciate indietro”, sia radicalmente mutata in seguito a quel fatidico giorno.
Ed ecco che gli spettatori si dividono: perché non spiegarci nulla? Perché concentrarsi sulla vita di quelli rimasti senza lasciar trapelare niente sul mistero della scomparsa degli altri? Ma anche: meglio così, qualcosa di diverso finalmente!
Personalmente capisco chi sia rimasto perplesso da questa scelta narrativa, ma la verità è che questa delusione non la condivido affatto. Il mio timore dinnanzi a prodotti di questo tipo è che si crei una enorme aspettativa per arrivare ad avere una spiegazione che poi a carte scoperte sfocia nel banale, nel già visto, e perché no, persino nel trash.
Non so se in The Leftovers ci verrà mai svelato cosa ha provocato la scomparsa di queste persone, ma per ora so per certo che questa scelta ha rappresentato per me la cosa più giusta e intelligente. La serie è stata così arricchita da una grandissima dose di introspettività, analizzando le reazioni dei singoli individui ad un evento tanto doloroso quanto inspiegabile. Vediamo personaggi costruiti benissimo che si trovano immersi in un mare di oscura sofferenza e che lottano con mezzi diversi e discutibili per restare a galla e non lasciarsi sopraffare. In fondo The Leftovers parte da una fatto inverosimile per finire a raccontarci la vita di tutti i giorni, con la difficoltà di andare avanti, di superare un dolore, e di condividerlo con gli altri. Insomma, trovo che non rispecchiarsi in almeno uno di questi personaggi sia impossibile.

The leftovers (1)

Abbiamo il protagonista, Kevin Garvey, interpretato dal convincente (e sexy, ndr) Justin Theroux (marito di Jennifer Aniston, che diciamocelo, mi sento di invidiare quanto basta). Kevin è lo sceriffo della città, ha due figli, Tom e Jill.  Il suo tormento interiore non deriva dalla perdita “fisica” di qualche persona cara, ma dal fatto che la moglie, Laurie, in seguito alla sparizione di massa abbia abbandonato tutta la sua vita per unirsi ad un misterioso culto, i Guilty Remnant, mossi dall’obiettivo di ricordare con ogni mezzo possibile il tragico evento, per non lasciare che cada nell’oblio. Questa scelta ha chiare ripercussioni sull’intero nucleo familiare.

justin-theroux

I Guilty Remnant sono guidati da Patti, e possono definirsi un vero e proprio culto: vestiti di bianco, non parlano ma scrivono su dei blocchetti e fumano una sigaretta dietro l’altra. Vivono tutti in una enorme casa, come una comune e sono alla continua ricerca di nuovi adepti, fanno appostamenti davanti alle case di chi prova ad andare avanti nonostante tutto e fanno manifestazioni per le strade.

leftovers

Nora Durst (interpretata da una per me convincentissima Carrie Coon) è a mio avviso un personaggio fantastico: è l’unica rimasta della sua famiglia, in quanto sia i suoi due figli che suo marito figurano tra gli scomparsi. Perdere così tante persone care in quell’evento era di scarsissima probabilità e Nora vive questa situazione come una punizione personale, come se il destino le si fosse accanito contro, e non è nemmeno così difficile darle torto. Non prova ad affogare il suo tormento, non vuole saperne di metterlo a tacere per ricostruirsi una nuova esistenza, ma dentro a quella sofferenza che la attanaglia, lei ci sguazza con tutta se stessa. Pare che solo provando dolore, anche fisico, riesca a sentirsi ancora viva e in grado di respirare.

nora the leftovers

Altro personaggio interessante è Matt Jamison (Christopher Eccleston), fratello di Nora e reverendo, il quale prova a dare un senso logico ai fatti, cercando di far capire che gli scomparsi non erano persone migliori dei “rimasti”, e prova a ricordarli per le loro azioni (spesso deplorevoli) in modo da non lasciare che la memoria collettiva venga ingannata e si crogioli nell’irrazionale consolazione che quelle persone siano state scelte per le loro qualità e portate “in un posto migliore” in nome di “uno scopo più grande”.

matt the leftovers (1)

A legare questi e gli altri personaggi nelle loro vicende vi è l’inconfondibile marchio di Lindelof che ci porta a immergerci in situazioni surreali e totalmente spiazzanti, a cui lo spettatore difficilmente risulta abituato. Più di una volta guardando un episodio ci si chiede cosa voglia dire quello che ci si para davanti agli occhi e le espressioni stupite e confuse davanti allo schermo non si contano. Questo aspetto, insieme alla caratterizzazione così approfondita dei personaggi, è la cosa che più mi ha portato ad apprezzare la serie, dato che in un panorama telefilmico in cui ormai il rischio del già visto è sempre dietro l’angolo, sentivo davvero il bisogno di una produzione così particolare e disorientante.

The Leftovers per me va a concludere alla grande una stagione televisiva che ha saputo sfornare dei prodotti originali, innovativi e narrativamente convincenti, quali True Detective e Fargo, e si avvicina a questo season finale con un climax narrativo interessante. Ora non ci resta che tenerci pronti e vedere come questa stagione ci lascerà e quali premesse getterà per la prossima. Almeno per ora una certezza la abbiamo: anche l’estate prossima ci ritroveremo a Mapleton, ringraziando la HBO per aver dato fiducia a questa serie, rinnovandola per una seconda stagione.

 Articolo scritto e redatto da Elisa Saronni | Tutti i diritti sono a lei riservati

A proposito dell'autore

Chi ha detto che stare dietro le quinte sia noioso? Redazione è un piccolo mondo di penne e menti attive che coordinano, insieme a Laura, la programmazione per theoldnow.it Instancabili e sempre ricchi di spunti noi di Redazione ci occupiamo di comunicati stampa, flash news, aggiornamenti e coordinamento degli autori! Vi sembra poco?

Post correlati