Ogni mercoledì pomeriggio, da ottobre ad aprile, il lussuoso Deccan Odyseey lascia il Chatrapati Shivaji Terminus di Mumbai per attraversare in otto giorni lo stato del Maharashtra, toccando Kolhapur, Pune, Aurangabad, Ajanta. Il sistema ferroviario è una delle eredità dell’India britannica, anche se i treni più lussuosi erano di proprietà dei maharaja. Un itinerario lungo 750 chilometri in una delle zone meno turistiche del Paese. Da Bombay alle stupende e misteriose grotte di Ellora, passando per l’ex enclave portoghese di Goa e l’Ashram di Gandhi.
Riflessioni. Pensieri. Immagini che lacerano la mente e il cuore, perché all’India non si rimane mai indifferenti. Sapori di cannella, zenzero polvere bagnata, cumino, fritture in olio di cocco, polvere di sandalo mischiata ad essenze confuse. Cielo e terra sono sfocati. Il caldo è spesso soffocante e arroventa la pelle. Anche a mezzanotte. L’India aggredisce i sensi: la vista con la forza dei suoi colori sgargianti, l’olfatto con odori a tratti evocativi e spesso rivoltanti, l’udito con lo strombazzare dei clacson, il gusto con i suoi sapori estremamente decisi.
Mumbai, il cui nome in precedenza era Bombay, è un cuore pulsante: una metropoli popolata da oltre diciotto milioni di abitanti. E’ la città più grande dell’India. Spettacolare, sovraffollata e caotica. Va vissuta camminando tra la gente, curiosando nei mercati o nelle immense lavanderie all’aperto, ammirando gli altari dedicati alle divinità. Sui marciapiedi scorre indifferente la vita di tutti i giorni tra miserie e lussi.
Il Deccan Odyssey parte dalla stazione centrale dei treni, Victoria Terminus, oggi Chhatrapati Shivaji Terminus, edificio completato nel 1888 per il Great Indian Peninsular Railway. Progettata dall’architetto Stevens, è una delle più grandi stazioni ferroviarie del mondo, un meraviglioso insieme di stili: dal gotico vittoriano, all’indù e islamico, con cupole, torrette, doccioni, guglie, vetrate. Intorno una miriade di templi e moschee.
Il treno, il cui simbolo sono due sciabole d’oro incrociate sui vagoni blu scuro, è stato inaugurato nel 2004: ventuno vagoni, due vetture ristorante, spa, palestra e lounge bar. Un maggiordomo ogni quattro cabine. Le carrozze ripropongono le atmosfere delle varie regioni dello stato del Maharashtra. Il centro benessere offre massaggi ayurvedici rigeneranti e rilassanti.
Attraversare gli slum di Mumbai mette a disagio: il lusso del treno fa sembrare quel luogo irreale. Le persone guardano dalle banchine del treno i servizi di the in argento. Si narra che le strade degli slum finiscano all’inferno. Non ne dubito. Tutto è grande a Mumbai, anche la miseria. Nella baraccopoli di Dharavi vengono prodotte migliaia di vasi e ciotole, ricami e impunture su camicie. Seguono la zona dei conciatori e quella dei cardatori. I colori perdono di intensità e una sottile patina di polvere comincia a ricoprire tutto.
Dopo una notte in treno, si giunge in barca a Kurte. Il forte di Sindhudurg si erge imponente. Fu edificato nel 1664 dal sovrano Chatrapati Shivaji, eroe nazionale, fondatore dell’impero maharata e famoso per la astuzia mostrata nella lotta contro i Mongoli. Il mare si infrange contro le torri esterne della fortezza: quarantadue bastioni di mura di calcare sbrecciato alte nove metri e larghe tre. Per costruirlo ci sono voluti tre anni e sei mila operai. Tutto sembra irreale e fermo, ad esclusione dei numerosi corvi neri che abitano sull’isola.
Goa è stata portoghese fin dal 1510. Oggi, è una delle località balneari più famose dell’India, simbolo di tolleranza, musica, divertimento. I turisti si soffermano sulle spiagge di Calangute e Baga. L’atmosfera è cristiana: il monastero di Sant’Agostino, edificato nel 1602, con un campanile alto più di quaranta metri, la basilica del Bom Jesus, il monastero di San Giovanni e Santa Monica, ombreggiati da alberi tropicali. La grandiosa cattedrale di Se, realizzata con fango, pietre e paglia: 14 altari, una navata lunga 80 metri. In una tenda vicina alla basilica di Bom Jesus sono cantati inni con un fervore e una emozione religiosa unici e coinvolgenti.
A Natale, la piazza principale si riempie di fedeli per ascoltare la messa all’aperto. Nelle osterie e nelle case a due piani coi balconi in ferro battuto si beve il feni (un distillato di anacard) accompagnato al sal patan, delle frattaglie di maiale soffritte con cipolla e curry, tra le note di fado, la musica che viene dal profondo dell’animo.
Lo stato di Goa è, per stile di vita, il più occidentale dell’India. Le sue spiagge sono diventate famose negli anni Sessanta, come sinonimo di hippy, nudismo, droga e feste. Oggi, le mete preferite sono Calangute, la striscia di sette chilometri di sabbia perlata tra Baga e Fort Aguada e Anjuna. Qui, il DJ Goa Gill inventò il goa trance: una dance music con ritmi acidi che mescola modulazioni techno e sonorità indiane. Si dimentica quasi di essere in India passeggiando per Panaji, capitale del piccolo Stato del Goa.
L’India è povera, tremendamente povera. Senti la povertà sulla pelle: essa ti arriva dall’afa, dall’odore che si respira. Il treno spesso diviene un rifugio con i suoi saloni blu, gli scompartimenti di legno e le comodità. Si inizia a viaggiare verso l’entroterra, verso un’India meno conosciuta. I paesaggi cambiano in fretta e in poche ore Goa diviene un ricordo frammentario una sequenza di immagini che iniziano a sbiadire per arrivare a Kolhapur, una tra le città più ricche dell’India, conosciuta anche come Karveer. Commercianti di cotone e oro ovunque.
Seguono il palazzo dei maharaja di Kolhapur, progettato dall’architetto Charles Mant: un edificio tardo vittoriano in stile indo saraceno. I maharaja erano grandi collezionisti di bric à brac e i saloni sono ricchi di teste di cervo elefanti impagliati, lampade con lo stelo a forma di zoccolo di animale e pavoni illuminati, vecchie fotografie. Il Tempio Mahalaxmi ed il palazzo Shalini. L’antica città di Daulatabad, enorme e spettrale, risultato di molte dinastie e del succedersi di governanti indù e musulmani.
I templi di Ellora appaiono austeri. Nel VI secolo, gli scultori buddisti avevano scavato i templi nella roccia basaltica. In uno scenario desolato e inquietante, si offrono al visitatore 34 grotte.
Giunti finalmente ad Aurangbadad si visita il Biki-Ka-Maqbara, il mausoleo mogul, replica del famoso Taj Mahal di Agra, edificato nel 1651, in memoria della moglie dell’imperatore Aurangzeb.
Le grotte di Ajanta vicino a Jalgaon, soprannominate la Cappella Sistina dell’Asia, sono la tappa più emozionante del viaggio. Dopo il declino del Buddismo nel X secolo molti luoghi sacri vennero abbandonati. Ajanta fu riscoperta, casualmente, nel 1819 da John Smith, un ufficiale britannico durante una battuta di caccia alla tigre. Scavate nella parete rocciosa di un burrone a ferro di cavallo, sono famose per gli affreschi del II secolo avanti Cristo, poiché il più antico esempio di arte pittorica buddista in India. I motivi degli affreschi murali sono molteplici: gli jataka, le storie che raccontano le sei vite del Buddha, leggende religiose, scene di vita quotidiana, una principessa che si guarda allo specchio, alcune donne su un ballatoio spaventate da un elefante.
Gli affreschi più belli sono quelli nella grotta numero dieci. Qui, i dipinti più antichi sono armoniosi, delicati: visi luminosi che fissano nel buio.Lo scavo di grotte nella roccia riprendeva l’antica consuetudine, ancora oggi praticata dagli indù, di abitare in grotte. Gli affreschi di Ajanta, tempere miscelate a colle animali ed a pigmenti vegetali, impegnarono gli studiosi per decenni. L’inglese Robert Gill, ad esempio, passò circa 27 anni ad analizzare gli affreschi e John Griffithis altri 13. Ma gli studi di entrambi, quasi per una sorta di “maledizione”, furono parzialmente distrutti da incendi che mandarono in fumo le loro lunghe e faticose ricerche.
Il treno riparte. E sulla via del ritorno, nel suo viaggiare, continua sempre a farmi sognare.
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Articolo scritto e redatto da Daniela Rigoni| Tutti i diritti sono riservati