Credo che persino Marzullo sarebbe in difficoltà nel trovare il modo migliore per presentare Christophe Adam. Creatore, direttore artistico, progettista, imprenditore, volto televisivo – l’elenco sarebbe ancora lungo – ma soprattutto uno dei più talentuosi chef della sua generazione. Non a caso, secondo Vanity Fair, Adam è uno dei 50 uomini francesi più influenti al mondo. Il merito probabilmente è anche della sua creatura, la pasticceria L’Éclair de Genie, che nel 2016 è approdata a Milano.
Proprio nella città meneghina, Adam ha dato vita alla prima partnership italiana: quella con Peck, tempio della gastronomia milanese. Una sorta di “ritorno a casa” per i suoi éclair rivisitati, nati negli anni in cui lavorava da Fauchon, la più importante gastronomia francese.
1. Non è singolare che sia proprio con una gastronomia d’eccellenza la sua prima partnership in Italia?
La collaborazione di un marchio francese giovane come L’Éclair de Genie, con un’istituzione storica come Peck, non è un caso. Sono due aziende che amano la produzione fresca, tanto quanto la creatività per la creazione di un prodotto.
Ho avuto modo di visitare le cucine e il laboratorio di Peck. Vedere questa cucina, questi laboratori, dove tutto è prodotto “in casa” è stato un po’ come quando conobbi Fauchon, circa trent’anni fa. È un patrimonio importante che bisogna assolutamente mantenere.
2. C’è una cosa dei suoi éclair che stupisce più di tutte. Il connubio tra sapori molto ricercati e un formato molto piccolo.
Questo è proprio il concetto alla base degli éclair: poter fare molte creazioni servendosi di una parte interna cremosa e un esterno che si presta a molte forme. Questo dolce può diventare così un mélange veramente creativo e divertente.
3. A suo modo è stato un precursore della riscossa dello street food e degli snack da passeggio.
Dopo Fauchon, la mia intenzione era quella di smettere con la pasticceria sofisticata. Gli éclair facevano già parte della mia vita e volevo continuare, puntando su una produzione fresca, da sfornare ogni giorno. Avrei voluto avere anche meno problemi da gestire quotidianamente. Solo che adesso, dopo cinque anni, i problemi sono persino aumentati! (ride, ndr).
4. Possiamo dire che con i suoi éclair lei ha preso un dolce della tradizione francese e lo ha trasformato in una rockstar della pasticceria?
Beh, in realtà è stata una lunga storia. Tra il primo éclair rivisitato e oggi c’è un cammino che si è creato man mano: mesi, anni. Non è stata una cosa nata tutta in un colpo, è stata una creazione progressiva.
Quello che spero per L’Éclair de Genie è che diventi un’istituzione, che possa avere un laboratorio che sia un punto di riferimento, soprattutto per i giovani che vogliono lavorare in questo settore. Perché anche questo fa parte del mondo degli éclair.
5. Quindi tradizione, innovazione, con uno sguardo ai giovani e al futuro. Come si spiega il successo planetario della sua pasticceria?
Forse era il momento giusto, l’idea giusta, con lo chef giusto (ride, ndr). Diciamo che c’è stato un connubio di tutti questi fattori, ma a monte c’è tutta la tecnica e tutta la conoscenza che ha permesso di dare vita a questo progetto. Per me è stato veramente una svolta e lavoro ogni giorno per fare in modo che questa continui a essere la giusta direzione. Ci sono sì gli éclair, che a oggi rappresentano il 60% della produzione complessiva, ma ci sono molti altri prodotti nelle boutiques.
6. Leggendo la sua biografia si ha l’idea che lei sia una sorta di predestinato. A sedici anni già sapeva che sarebbe diventato un grande pasticcere.
In realtà a sedici anni sapevo che non ero fatto per la scuola, per quel tipo di studi, ma che invece ero portato più per attività manuali, per la gastronomia. In quel momento non era importante quale professione: avrebbe potuto essere il pasticcere come il panettiere. È stato a vent’anni che ho davvero capito che volevo lavorare in pasticceria, e nello specifico pasticceria di alta gamma.
7. Si dice che chi crea in cucina ricerchi i sapori dell’infanzia. Qual è il suo dolce del tempo perduto?
Le crêpes. Beh, non sono propriamente un dolce, perché in Francia si servono molto come merenda, ma sono originarie della mia regione, la Bretagna, e io le adoro.
Articolo scritto e redatto da MARCO VANNICELLI | Tutti i diritti sono riservati