Qual è il valore intrinseco di un PB? Quante volte bisogna sfiorare un PB prima di sentirsi infinitamente sereni con se stessi? Ma poi, il Personal Best è veramente così necessario?
I runner alle prime armi potrebbero sentirsi un po’ a disagio, un po’ spaesati, forse, di fronte alla fatidica domanda: “Qual è il tuo Personal Best?” La verità è che non appena prende piede la passione per la corsa, così come per qualsiasi altro sport, arriva il momento in cui il confronto con gli altri e con se stessi rischia di diventare la causa scatenante di ogni allenamento o di ogni gara.
Proprio in quel momento, sono andata in tilt. Corro perché amo come mi fa sentire. Corro perché il mondo e i pensieri si riallineano come per magia su un rullo trasportatore, riportando ogni problema, ogni paura ad una dimensione umana, accettabile, affrontabile. Corro perché il mio corpo possa tornare a vivere, per liberare le energie trasformando quelle negative in pensieri di forza, di volontà e di capacità. Corro perché la corsa mi ha insegnato a convivere con la mia mente e i miei pensieri, ma mi ha anche aiutato a conferirgli una forma. Potrebbe bastare no? Eppure ci sono cascata. Per mesi mi sono interrogata quale fosse il mio degno PB. Come poterlo raggiungere, come desiderarlo, come non rimanere delusa. Il mio Personal Best del 2015 l’ho pensato, selezionato e rincorso con un estremo disordine, facendo esattamente tutto quello che un runner non dovrebbe fare. Eppure l’ho fatto e mi cullo nell’idea di poterlo raggiungere ugualmente. Chi vivrà vedrà, intanto corro.
Ma ho capito il perché. Il rapporto con il proprio Personal Best è una perenne tensione fatta di dedizione e odio. Ogni runner desidera raggiungere e migliorare il proprio PB per affrancare i miglioramenti e voler dare un senso ai propri sforzi, quasi come se il PB fosse la prova cartacea di un traguardo raggiunto. Una sferzata di adrenalina, un traguardo raggiunto che diventa, in poco tempo, la linea di una nuova partenza. Ma è veramente necessario un certificato? Il concetto di Personal Best, se estremizzato diventa, al contrario, una trappola. Un pensiero fisso che distoglie l’attenzione, affievolisce la passione.
Come conviverci? Meglio amare il proprio PB o odiarlo? Meglio mantenere inalterato l’amore per la corsa. I PB sono disseminati poi un po’ ovunque, se la passione anima anche la volontà di andare oltre i propri limiti. Nell’inseguire il mio fatidico PB 2015, ho scoperto che ogni allenamento svolto con il coach stava rappresentando una serie inedita di PB e come ogni cosa nella vita, anche i PB rischiano di arrivare proprio nel momento in cui meno te l’aspetti, come l’altra sera al campo XXV Aprile a Milano. L’allenamento di ripetute in pista con ritmo imposto dal coach era stato tutto tranne che leggero, ma a sorpresa sono stata stuzzicata ad effettuare un ultimo 400 metri. Il campo deserto, il cielo blu intenso, le gambe stanche, ma la voglia di provarci. Passati i primi 200 metri la mente che mi ricorda di respirare, ma a metà dell’ultima curva l’acido lattico attanaglia i polpacci e mi dona un’andatura quasi innaturale, ma so che devo uscire dalla curva focalizzare lo sguardo verso il traguardo e sarà fatta. Vedo il coach animarsi e muoversi verso la mia direzione per intimarmi a spingere e a non mollare. Il respiro non è controllato, non come piace a me. Spingo perché ormai il traguardo è vicino. 1’ 34”, nuovo PB sui 400 metri. Lo sguardo soddisfatto di entrambi, il respiro che torna pian piano alla normalità mentre il coach fa i calcoli dei ritmi sostenuti e potenziali. La verità? Mi sono divertita ed il PB era l’ultimo dei miei pensieri, anzi pensavo di essere lontano da quanto fatto finora. Questo per me rimane il miglior Personal Best di sempre, il vero metro di valutazione!
Articolo scritto e redatto da FRANCESCA TOGNONI | Tutti i diritti sono riservati