Stella Jean presenta la Collezione Uomo PE 2016, durante la Settimana della Moda Uomo a Milano.
E come sempre giacche, pantaloni e abiti si fanno pretesti narrativi per raccontarci una storia.
L’uomo Stella Jean abita al Chelsea Hotel e indossa l’artigianalità delle righe del Burkina Faso. La sua casa è il mondo e le sue frontiere sono solo gli estremi del globo.
Come ogni mattina Ernest a passo svelto uscì dal silenzioso cortile dell’austero stabile dove viveva da tre anni. Salutò il custode con mezzo sorriso sghembo, un cenno del capo e si tuffò nell’ululante traffico metropolitano. Mentalmente si proiettò nella sala riunioni del suo ufficio all’undicesimo piano del palazzo di vetro azzurro nel cuore della città, dove di lì a poco avrebbe incontrato i manager della società per la trattativa dell’anno, quella per cui aveva speso giorni e notti di lavoro. Vestiva un rigoroso e rassicurante completo con limpida camicia bianca, unico guizzo creativo la pochette in seta color arancio, regalo di Anne. Gli era sembrato un giusto equilibrio tra sobrietà, freschezza, gioventù.
Articolo scritto e redatto da Nunzia Arillo | Tutti i diritti sono riservati
Stella Jean immagina un uomo che fa del mix il suo credo, che rifugge gli spazi-prodotto in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione. Porta sempre con sé un’anima piena e fitta di comunicazioni e scambi, sempre in movimento. E che si spoglia di rigide sovrastrutture per accettare il caos dei grovigli di righe con l’irriverenza dei colori più sfacciati. Miscelando sapientemente e con aria scanzonata, urban style e i prodotti artigianali creati dalle donne dei villaggi del Burkina Faso.
Lungo la strada che aveva deciso di percorrere a piedi (quello sarebbe stato l’unico esercizio fisico che la giornata gli avrebbe concesso), a un tratto, nella folla di teste ondeggianti, gli sembrò di intravedere quella di Baba. Fu come se un lupo siberiano gli avesse morsicato il cuore. Sentì dolore e freddo. Guardò l’ora – era in largo anticipo – si spinse più avanti per rincorrere la sagoma colorata, ma qualcosa lo strinse alla gola. Rallentò il passo e sentì un soffio potente, prolungato, che lo sospinse verso il viottolo laterale, si accasciò sul muro stinto del Chelsea Hotel, tra la Seven e l’Eight Avenue, e la porta della stanza 16 si aprì dietro di lui. Un istante dopo, scivolò giù nella botola rigata. ”Ernest come stai? Ti vedo pallido”. Baba ora dondolava nell’altalena di fortuna issata tra due baobab. Il cielo era basso e i colori saturi delle vesti di fresco cotone erano attorcigliati con sapienza ancestrale su quelle morbide forme. Mani operose lavoravano a telaio, estraendone di volta in volta righe orizzontali, righe verticali, righe interrotte dagli spazi ikat.
Continua la ricerca dello styling degli opposti per Stella Jean che fa della sua identità e del suo métissage, preziosa fucina per fondere le culture del vecchio e del nuovo continente. Una collezione dalle immagini precise ed evocative che diventano racconti: il parka, simbolo metropolitano incontra i sandali che rappresentano la terra, il villaggio ed il relativo allentamento, la giacca e il trench, con la loro carica urban style, si fanno ironici e inclini al sorriso abbinati con bermuda e costume stampato dai motivi e colori equatoriali.
Baba prese per mano Ernest e lo guidò verso l’oasi poco distante. “Dammi la giacca che la stendiamo a terra e rimboccati i pantaloni”. Ernest si aprì la camicia e sentì il calore sul petto, si sedette, si rinfrescò, bevve un tè alla menta. Era lì dove non aveva mai osato tornare, per paura di restare. Voleva rapire emozioni e sensazioni, fissarle e farle germogliare nel luogo segreto della sua anima, ed eleggere quello spazio destrutturato, dilatato, di non luogo, al suo ovunque. Intanto erano accorsi i bambini del villaggio vicino e gli gironzolavano intorno ripetendo in burkinabé “E’ tardi! E’ tardi!”. Videro la giacca, ne tirarono i lembi. Ernest si sollevò per consentire al più piccolo di indossarla. Nel suo abito troppo lungo e troppo largo, il bimbo invitò Ernest a seguirlo. Il loro passaggio fu salutato da un groviglio di righe sinuose danzanti sulla distesa dai cromatismi sfrontati…zebre, poi antilopi e ancora gazzelle. La prima capanna, l’odore del mais. E il gruppo di donne continuava a filare sfavillanti caleidoscopi di colore. Il bimbo si tolse la giacca e la pose su una di quelle intense stoffe primitive.
Il piccolo miracolo racchiuso nel gesto scaldò il cuore di Ernest.
Photo credits and quote courtesy of Stella Jean