Alfons Mucha è uno degli artisti più celebri dell’Europa, nella Parigi della Belle Époque. Il suo è un mondo di lusso e sofisticata stravaganza, tra architetture floreali, teatri e tabarin, scandali e pettegolezzi di gigolò e vedove allegre. Una società ricca e allo stesso tempo incosciente.
Le mostre italiane a Roma e a Genova ci presentano un uomo fine interprete del gusto di un’epoca sfavillante e di uno stile nuovo, l’art Nouveau, lo stile floreale o Liberty. Mucha era attratto dal ritmo ciclico della natura e dagli stadi della vita umana. Voleva in tal modo comprendere l’umanità e per esprimere i propri temi si serviva di litografie a colori, illustrazioni, gioielli e grandi quadri dipinti con tempere all’uovo.
Talentuoso pittore moravo divideva uno studio a Montparnasse con Paul Gauguin: insieme pativano la fame e aspettavano tempi migliori.
Una notte subito dopo Natale, la tipografia Lemercier gli commissiona con urgenza il manifesto per l’opera teatrale Gismonda, che sarebbe stato interpretato da Sarah Bernhardt, attrice capricciosa, allora cinquantenne, idolo del pubblico parigino, figura da sempre fuori dagli schemi, coraggiosa nel vivere manifestando la propria omosessualità. Il pannello doveva essere pronto per la sera di Capodanno. Con Gismonda, Mucha unisce il sacro al profano.
La attrice non solo approvò il disegno, ma ne fu entusiasta. Mucha fu nominato pittore di fiducia, costumista, disegnatore di gioielli di scena. Gismonda, dramma ormai dimenticato, fu una delle icone dell’ epoca, un primo passo verso la definizione di un tipo di donna e di un genere di campagna pubblicitaria. Seguirono molti altri ritratti e moltissimi manifesti, quasi tutti sullo stesso modello: immagine verticale, lunga e sottile, posa sinuosa, fluire arioso di veli o capelli.
L’impatto sul pubblico fu tale che i Parigini durante la notte staccavano i manifesti dai muri raschiandoli con un coltellino.
Il suo stile diviene la quintessenza dell’eleganza a livello mondiale. Uno stile unico, poliedrico con protagonista indiscussa la figura femminile, metafora dell’eterno, irraggiungibile e immutabile ideale della natura.
Donne angelo, ammaliatrici, passionali e selvagge che prendono spunto dai racconti storici mitologici legati a culture lontane nel tempo, la Regina di Saba, Cleopatra, Salomè, Erodiade. La donna è spesso vista come una creatura eterea, vestita con ampie tuniche e capelli morbidamente raccolti sulla nuca, inserita all’interno di paesaggi naturali e di prati fioriti. Mucha utilizza una linea sinuosa, fluida, avvolgente che si trasforma in onda, spirale, arabesco e si dirama nello spazio, seguendo schemi geometrici, liberi o assimetrici.
E’ l’arte à coups de fouet, a colpi di frusta, descritta da Alfredo Melani: il movimento della frusta che schiocca nell’aria e che produce delle linee agitate nervose e serpentine. Figure ieratiche, sensuali, quasi divinità irraggiungibili sospese in un mondo senza tempo.
A Parigi e Vienna, in quegli anni, nascono la scienza dell’ inconscio e la neurologia. Si sperimenta l’ ipnosi. Alfons Mucha ne rimane affascinato. Per documentare le sue ricerche si dedica alla fotografia che diviene il suo diario intimo visivo. Con il successo, lo studio parigino diviene un punto di incontro di artisti e letterati. Qui vengono effettuati esperimenti e sedute spiritiche. Le modelle venivano ipnotizzate e quindi assumevano l’aspetto della donna catatonica o isterica. Mucha le raffigurava con capigliature stravaganti che si sviluppavano in arabeschi eccessivi e astratti.
Vicino al mondo del simbolismo dei fiori, crea un parallelismo tra i significati delle diverse piante e il carattere sfaccettato dell’universo femminile: la rosa e il garofano sono associati a donne passionali e seducenti , l’iris e il giglio rimandano a fanciulle sognanti e virginali. Con l’avvicinarsi della fine del secolo, Mucha accentua l’aspetto spirituale delle sue donne, che risultano circondate da un ambiente cosmico. L’artista è sempre più attratto dal rapporto tra la luce e il corpo femminile.
Nel primo periodo ceco tra il 1910 e il 1912 il pittore ritrasse giovani donne in abiti tradizionali moravi, dalle gote rosee e dalle bionde lunghe trecce, ancora acerbe e immuni dal dolore. Si tratta di eroine che incarnano un modello di donna slava intraprendente, coraggiosa e priva di tabù in amore.
La donna dell’ultimo periodo è la contadina russa con il viso segnato dalle rughe e dagli stenti, che attende inerme l’arrivo dei lupi che la sbraneranno.
Mucha, icona nazionalista del popolo ceco, fu tra i primi ad essere interrogato dalla Gestapo con l’invasione nazista e pochi giorni dopo morì in circostanze misteriose.
Desiderava un mondo migliore, dove le minoranze etniche avrebbero potuto vivere in armonia, trovando una unione spirituale, senza rancori e guerre, dove l’arte era il mezzo con cui comunicare il suo sogno che diveniva realtà.

La contadina russa di una notte di inverno
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