Immaginatevi una giornalista che intraprende un viaggio in Perù. Si ritrova immersa nella terra degli Inca e degli altopiani, delle vigogna e del lago Titicaca, dell’Amazzonia e degli sciamani. Immaginatevi ora che questa giornalista si chiami Sara Porro e che torni da questo viaggio con un vero e proprio manuale di sopravvivenza amazzonica, ovviamente scritto da una signorina di città e dedicato proprio a questa categoria, tutta femminile.

Ebbene sì, questo libro nasce così ed una domanda sorge spontanea: ma cosa ci fa una big city girl a 10.000 km dalla sua Milano, alle prese con tarantole, cascate, pozioni magiche e radici afrodisiache? Proprio lei che ha lo zaino carico di ansie metropolitane?

La risposta è semplice: cerca l’avventura. E lo fa in una delle cucine più intriganti al mondo. Sara Porro troverà entrambe, sotto le stelle rovesciate del gran guerriero Inca. Ma per saperne di più dovete addentrarvi dentro questo libro, ops manuale.

Essendo quella meno equipaggiata sul piano psicofisico alla giungla (elenco non esaustivo delle controindicazioni alla giungla: aracnofobia severa, mal di mare, reazioni allergiche per cui una puntura d’insetto sul deretano mi fa spuntare una chiappa extra per partenogenesi) sono anche quella con più preparazione tecnica. Possiedo cappello di paglia, maglietta a maniche lunghe, occhiali da sole con filtro UV, protezione solare 50, repellente per insetti livello giungla – non applicabile più di tre volte al giorno, pena l’autocombustione come il vampiro esposte alla luce solare (credo). Mentre tutti intorno a me hanno l’aria vacanziera e spensierata, io sembro il morto di un weekend con il morto (mi manca solo la bandana). Così bardata mi sento così al sicuro da assopirmi brevemente nel corso del tragitto in barca. Quando mi sveglio, avverto un prurito all’anulare sinistro – una puntura d’insetto. Quando arriviamo a destinazione, il mio dito è raddoppiato di dimensioni e il mio umore ha volto al peggio. Appena trovo un uditorio, mi lagno con il tono melodrammatico. Mostro il dito alla guida, che indica il suo machete. “È necessaria l’amputazione?”, Chiedo con un sussurro “Sì, ma non perché sia grave. È solo che sono un sadico” gigioneggia lui.