Guidare una Porsche è già di per sé un onore in quanto rappresenta un’icona di stile e tecnologia difficile da eguagliare persino per le vetture dello stesso segmento, ma avere l’opportunità di attraversare l’Europa partendo da una piovosa Milano ed arrivando fino al circuito belga di Spa Francorchamp per assistere al campionato internazionale di Endurance è stato un vero privilegio.

Il viaggio, che si svolge a bordo una Porsche Panamera diesel da 300 CV ed una Macan S diesel da 258 CV, inizia la mattina presto dal modernissimo concessionario Porsche di Milano.

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Guardando alle auto che ci accompagneranno e pensando a ciò che ci si aspetta di trovare una volta giunti a destinazione non si può non notare la similitudine evidente tra le due auto sportive, potenti e dai consumi contenuti, che vanno a raggiungere fino in Belgio altre auto ben più potenti ma che in qual modo, per mezzo di altre tecnologie, garantiscono anch’esse grandi prestazioni a bassi consumi.

Nasce infatti da questa idea il campionato Internazionale di Endurance (FIA WEC – World Endurance Championship): spingere le case costruttrici al limite, per sperimentare tecnologie innovative in grado di massimizzare il recupero energetico e rendere sempre più efficienti i consumi da energia termica.

 

Porsche, assente dal circuito Endurance da ben 16 anni, ha pensato bene di entrare con prepotenza grazie ad un’auto, presentata a Ginevra 2014, che è un concentrato di stile e tecnologia. La 919 Hybrid che gareggia nella categoria LMP1 (Le Mans Prototype) è stupenda ed è frutto di oltre 2.000 ore di lavoro in galleria del vento. Viene equipaggiata con un piccolo propulsore da soli 2 litri turbo e quattro cilindri a “V” in grado di erogare ben 500 cavalli. La componente ibrida viene spinta dai sistemi di accumulo che consistono in batterie agli ioni di litio (stessa tecnologia delle batterie dei telefonini) raffreddate ad acqua che accumulano energia sia dai gas di scarico sia dall’energia cinetica sviluppata in frenata. L’energia accumulata nelle batterie viene poi inviata alle ruote anteriori dal motore elettrico, che trasforma quindi l’auto in una vettura a “quattro ruote motrici”. Le regole FIA impongono di usare tutta l’energia disponibile ad ogni giro. Se non la usi non la puoi accumulare.

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Il viaggio

Partiamo in direzione Svizzera passando per il valico di Lugano e dopo diverse ore di guida attraverso le autostrade svizzere, francesi e belghe arriviamo al circuito giusto in tempo per ritirare gli accrediti e seguire le qualifiche nelle quali le nostre auto ottengono ottimi piazzamenti. Il cielo va rasserenandosi e dopo una breve sosta tecnica all’hospitality Porsche ci dirigiamo verso l’albergo, dove un pasto frugale anticipa la ritirata collettiva, in vista della dura giornata che seguirà.

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Il giorno della gara

Le previsioni sono giuste: il sole splende e fortunatamente la pioggia che ha accompagnato le giornate precedenti è sparita. Fa freddo, le gomme saranno felici e anche le batterie a ioni di litio che alimentano le nostre macchine sapranno dare il massimo nella prossima gara.

Prendiamo contatto con la pista, seguiamo le gare di contorno, scattiamo alcune foto mentre nel frattempo il circuito, che la sera prima avevamo visto deserto, va riempiendosi di appassionati di ogni tipo fino a quando, in lontananza, notiamo un folto gruppo di persone che circondano degli uomini in tuta bianca e capiamo cosa sta succedendo: sono in arrivo all’hospitality i piloti Porsche.

Tra i personaggi più ricercati dalle folle c’è sicuramente Mark Webber, che a un certo punto troviamo comodamente seduto accanto a noi per un pranzo leggero prima di iniziare la gara e che ha accolto la sfida lanciata da Porsche dopo aver abbandonato la Formula Uno.

Al momento ero quasi stupito dalla situazione: Mark Webber, pilota di punta ex Red Bull, che per 12 anni è stato leader della massima serie automobilistica con 215 Gran Premi alle spalle, seduto a un metro dalla gente “normale”? Ebbene sì, perché è questo lo spirito che si percepisce tutto attorno, dai paddock alla pit lane fino all’hospitality. Sembra una grande festa, un grande evento.

Il clima che si vive nel pre-gara, dentro l’hospitality Porsche è particolare, ed emblematico di un clima sereno. Mentre i piloti pranzano con le proprie famiglie in un’allegra tavolata che ha quasi il sapore della festa, il tempo passa e a poco meno di un’ora dal via abbiamo ancora i piloti dietro di noi che ridono e scherzano con le rispettive famiglie.

Mi trovo a riflettere ancora una volta sui collegamenti e sulle analogie che si sviluppano in questo nostro viaggio e sul fatto che la gente che si trova qui sia di fatto “ibrida”. Ibrida come la tecnologia installata nei motori montati sulle auto. Ibrida perché eterogenea.

Se negli altri sport motoristici solitamente trovi persone abbastanza omogenee, qui alla WEC appassionati di ogni tipo si avvicendano. V.I.P. accanto a gente comune (ho pranzato con Jean Todt !), tecnofili contro sportivi, fotografi contro curiosi, giovani contro meno giovani, famiglie contro gruppi di ragazzi. E, perché no, maschi contro femmine.

La folla di persone che si raccoglie all’esterno dell’hospitality Porsche è davvero impressionante, specie se paragonata al numero di persone che sono appostate fuori dagli stand concorrenti in cui c’è un timido manipolo di persone. Parlando con colleghi di maggiore esperienza mi raccontano di essere quasi stupiti da questo assembramento e che l’anno scorso la quantità di persone era notevolmente inferiore.  Merito di Mark Webber che, oltre ad essere un bravo pilota è anche un uomo immagine non da poco e in grado di avvicinare anche la gente comune a questo sport. C’è chi lo chiama “Effetto Webber”.

Merito anche del ritorno di Porsche, perché se chiedi ad un uomo qualunque, con un minimo di passione per i motori, di associare una casa automobilistica alla 24 ore di Le Mans, molto probabilmente ti risponderà “Porsche”, che con 16 vittorie detiene il record di successi alla 24 ore francese.

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La competizione

La competizione che fino al giorno prima era caratterizzata dalla pioggia, prende il via con un clima rigido ma sereno. A Silverstone, prima gara di campionato, abbiamo avuto un ritiro della numero 14 (Romain Dumas, Neel Jani e Marc Lieb) ma nessun problema tecnico per la numero 20 (Timo Bernhard, Brendon Hartley e Mark Webber), a Spa c’è stata solo molta sfortuna. Dopo dei buoni piazzamenti nelle qualifiche un problema elettrico ha costretto l’auto numero  14 di Dumas a resettare letteralmente la centralina durante la guida mentre verso il termine della competizione una banale puntura di insetto lo ha costretto a fermarsi ai box.

Molta sfortuna anche per l’auto di Bernhard: alcuni problemi al sistema di hanno costretto i piloti della numero 20 a soste non programmate con la conseguente perdita di posizioni.

Ma perdere una battaglia non vuol dire perdere una intera guerra e questo in Porsche lo sanno benissimo: le analogie di Spa con Le Mans sono importanti: un tracciato lungo e rettilinei importanti serviranno alla casa di Stoccarda per raccogliere dati fondamentali per aggiustare il tiro sulla gara più importante della stagione: la 24 ore di Le Mans, dove, dopo 16 vittorie (di cui sette consecutive dal 1981 al 1987) e 16 anni di assenza, il Cavallino di Zuffenhausen vorrà giocarsi il tutto per tutto.

L’obiettivo in questa fase era arrivare alla fine del circuito senza danni evidenti. Questo hanno detto i dirigenti Porsche. Ogni singola informazione raccolta durante la percorrenza in questa gara potrà essere sfruttata durante la gara di Le Mans per dimostrare a Toyota che Porsche non è tornata per stare a guardare. È tornata per esserci e io penso francamente che lo abbia già dimostrato ampiamente. Lo abbiamo appreso anche durante un esclusivo giro ai box organizzato dalla casa di Stoccarda durante la gara. Abbiamo toccato con mano il clima di religioso silenzio che regna dentro il box, in cui 200 tra manager, ingeneri e tecnici lavorano per far correre sei piloti su due auto.

Le Mans sarà quindi una sfida: una sfida per Porsche, per via dei record battuti negli anni 70  e che ora si sente in dovere di eguagliare, ma anche una sfida per Mark Webber per via del tragico incidente, per fortuna senza conseguenze, che lo vide protagonista con la Mercedes nel 1999 e durante il quale prese letteralmente il volo con la sua CLR-GT1.

Mission 2014: our return.

 

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