Ci sono delle tappe imprescindibili per ogni winelover. Quei momenti dell’anno in cui si ha la possibilità di dedicarsi anima e corpo alla propria liquida passione, praticamente 24 ore su 24, non stop. Il Merano Wine Festival è senza dubbio uno di quei momenti. La concentrazione di produttori di alto livello, appassionati veri e professionisti del settore che si viene a creare a Merano in occasione del Festival è talmente elevata che oltre a berlo il vino lo si respira proprio. Si ha quasi la sensazione di navigarci dentro, di farsi strada in un fiume costante ed impetuoso di vino che invade le sale della Kurhaus
È questo l’impatto iniziale il sabato mattina quando si varca la soglia del’affascinante palazzo meranese. Una marea umana e liquida che si sposta seguendo i propri istinti ed i propri umori, quasi frenetica a volte. La prima giornata praticamente la si passa a salutare persone: vignaioli con cui magari ti eri solo scritto e per la prima volta incontri di persona, amici appassionati che non rivedevi dall’anno prima per la distanza geografica che vi separa, persone che avevi visto una settimana prima, ma che fa sempre piacere reincontrare. La prima giornata, nonostante il gran caos, è forse la più bella: tante chiacchiere e pochi assaggi, ma con un sapore particolare: quello dell’amicizia e della condivisione.
La selezione dei produttori è come sempre ricca e curata (anche se purtroppo il Carso triestino non aveva nessun rappresentante) e la formula dei banchetti tutti uguali per ogni cantina continua a convincere, appianando le differenze di “potenza di fuoco” ed affiancando colossi della produzione vinicola a piccole realtà artigianali, per una volta alla pari. La novità dell’anno, ovvero la possibilità concessa ai produttori di portare in degustazione piccole verticali di una loro etichetta, è davvero molto interessante e regala viaggi di approfondimento estremamente graditi (la verticale di Nerobaronj di Gulfi fino al 2002 è stata emozionante). I fortunati che si sono potuti fermare anche il lunedì hanno inoltre avuto l’opportunità di degustare anche le vecchie annate: bottiglie con oltre 10 anni (e risalenti fino al 1961 con la Riserva del Barolo di Borgogno) ritenute particolarmente rappresentative da parte dei produttori
Il secondo giorno ho invece cercato di dedicarlo alla scoperta di regioni per me meno conosciute di altre, in particolar modo ho deciso di focalizzarmi su Campania ed Emilia Romagna. Forse una scelta limitante rispetto all’offerta del Festival, quest’anno ampia più che mai, ma a mio modo di vedere più costruttiva, vissuta senza l’angoscia di dover assaggiare tutto in 4 ore, ma con quella calma che ti lascia il tempo di scambiare due parole con i produttori e farsi anche qualche bella risata. Si riescono quindi a scoprire espressioni incredibilmente territoriali ed autentiche del vitigno a bacca rossa re del sud Italia, l’Aglianico, che conquistano. Si può fare un piccolo viaggio alla scoperta dei rifermentati in bottiglia emiliani (grandissimo il Pignoletto, ancora più buono nella versione ferma) e permettersi qualche deviazione azzeccata nella produzione marchigiana
Imperdibile anche la selezione di grandi rossi bordolesi portati da l’Union des Grands Crus de Bordeaux: quasi 30 produttori fra cui i blasonatissimi Château Angélus, Château Gruaud Larose e Château Gazin. Perché è sempre giusto cercare di imparare qualcosa da chi è maestro sia nel fare vino che nel far sapere di averlo fatto bene. Per chi poi non si fosse accontentato di degustare l’indegustabile ed avesse avuto ancora voglia di provare qualcos’altro, la zona di Culinaria, riunente una selezione di eccellenze gastronomiche, quest’anno era più affollata che mai (pata negra da capogiro). Per concludere durante tutta la manifestazione la Gourmet Arena è stata un fermento di show cooking di chef (ben 13 quest’anno) da tutta Italia e presentazioni di aziende di spicco dell’agroalimentare nazionale. Vedere cucinare davanti ai propri occhi e poter interagire in diretta con chef di livello assoluto è stata proprio una bella esperienza
Che dire, anche quest’anno mi porto a casa tanti bei ricordi, qualche rimpianto per quei produttori che non sono riuscito ad andare a trovare e molta voglia di tornare l’anno prossimo. Per fortuna a spezzare l’attesa ci sarà il Milano Food&Wine Festival!
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati