Ogni volta che si avvicina una corsa nella città di Milano ci si sente invasi da una serie di sentimenti contrastanti: da un parte una sorta di campanilismo si unisce al desiderio di prendere parte ad un evento così vicino, un evento così importante per una città che, nelle sue mille contraddizioni, non smette mai di affascinare. Dall’altra, la paura di rimanere delusi e sentirsi un runner reietto perché causa di disagi, un runner incompreso nella sua estrema espressione di passione verso la corsa.
Domenica scorsa, alla 15° edizione della Maratona di Milano, il clima che si è creato non ha avuto nulla a che fare con queste due sensazioni. Chi l’ha vissuta in prima persona, non può negare di aver vissuto un tempo e un mondo a sè intorno al quale tutto il resto ha avuto il semplice ruolo di corollario. Il traffico? Chi lo ha percepito. Lo scalpitio del milanese che deve muoversi necessariamente in macchina? Solo un leggero ronzio, come la mosca che prende confidenza al primo volo in una giornata primaverile.
Si correva. Si correva per una causa importante come la Onlus dell’Abbraccio. Si correva per portare a termine una maratona tanto sperata ed odiata nei lunghi mesi invernali. Si correva la versione relay a staffette nel segno dell’amicizia e del giusto equilibrio competitivo necessario per avere lo stimolo ad andare oltre e migliorarsi.
Si parla di un’edizione da record nel numero di partecipanti come maratoneti singoli e staffettisti, come numero di Onlus sostenute, ma il vero record lo hanno fatto registrare le persone che hanno creato quell’atmosfera sospesa, ricca di amicizia, di impegno, di riconoscenza verso il vero valore della vita.
Se vuoi correre un miglio, corri un miglio. Se vuoi vivere un’altra vita, corri una maratona. Emil Zatopek
La maratona è l’espressione di una vita intera: il desiderio di fare, il sogno, lo sforzo portato all’estremo, l’impegno, passo dopo passo, per fare in modo di dare una forma a quel sogno, la lotta, chilometro dopo chilometro, contro le convinzioni e gli scetticismi. Tutto, ma proprio tutto come chi ogni giorno si alza e, nonostante i numerosi ostacoli, riesce a cogliere solo le infinite opportunità che si presentano. Perchè i limiti sono solo proiezioni mentali, gli ostacoli difronte alla forza di volontà possono farsi più piccoli e quello che conta è mettersi in moto per concretizzare e per vivere pienamente. Allora la corsa non è solo un metodo per spostarsi, uno sport qualunque, un modo per essere egoisti nei confronti del proprio corpo, della propria salute, del proprio benessere, ma diventa testimonianza di una lotta quotidiana per assaporare un senso di compiutezza, per smuovere le coscienze intorpidite dalla routine ed avvicinarle al bisogno di alcune realtà.
La differenza è netta, quasi stridente il confronto. Un attimo prima, agitata alla partenza, ti ritrovi concentrata solo su te stessa. E’ la tua prestazione, è la tua tranche della staffetta, è tua la fatica. Un attimo dopo immersa nel clima di realizzazione che solo gli ultimi metri all’arrivo sanno regalare, ti sorprendi immersa in un mondo che oltre allo sport trasmette emozioni che sanno scuotere.
La seconda parte della staffetta è partita verso le 11. La giornata è calda e i tempi stimati dal coach sembrano materializzarsi per magia. Tu ignori come possa fare, ma lui sa. Al passaggio del testimone, la mente si focalizza ad immagazzinare più energia possibile dall’euforia della zona cambi, per poi ritrovarsi occupata a sedare le sue stesse insidie: il timore di non farcela, il controllo della velocità di crociera che ha subito un’accelerazione eccessiva grazie all’entusiasmo e il caldo. Concentrazione e timore fanno macinare i chilometri velocemente ed affrontare gli insidiosi sali e scendi in prossimità della vecchia fiera. Un primo campanello di allarme che il focus non sia quello corretto arriva quasi verso la fine dei miei chilometri, quando riesco ad affiancare una roccia, Simona, e fare qualche decina di metri con lei. Fa caldo, si fa fatica, ma il suo sorriso ampio esprime una forza che non ha eguali. Lei si invola verso il terzo staffettista e anche le mie gambe sembrano risentire un effetto positivo. Dopo il passaggio del testimone, rimane giusto il tempo per ricomporsi e volare all’arrivo per vivere la pura gioia della fine.
“Cosa si prova a finire una Maratona?” una semplice domanda che acuisce un senso di colpa quasi, l’inadeguatezza di essere lì a guardare i maratoneti arrivare al posto di essere tra di loro. Le gambe stesse che sembrano reclamare la sensazione di una stanchezza infinita, snervante durante la preparazione ma infinitamente appagante ad ogni conquista.
Il senso di euforia che provi quando superi la soglia del dolore, quando durante uno sforzo lungo ed impegnativo riesci a padroneggiare la fatica anziché diventarne prigioniero, è quasi indescrivibile. Alberto Salazar
Di nuovo la considerazione: guardare se stessi con la sensazione di avere un pezzo mancante genera necessariamente delle false aspettative e dei rimpianti. Meglio concentrarsi a celebrare le vittorie degli amici che hanno fatto il loro esordio in maratona, così come quelli che hanno lottato per la conquista del loro Personal Best. Perché guardare gli amici arrivare a raggiungere un traguardo tanto ambito, incitarli, sposta l’attenzione e regala delle sensazioni uniche ed elettrizzanti. Ci si sente parte di un progetto che ha visto il suo esito positivo e partecipare alla gioia degli altri è molto più importante che siglare un patto segreto con se stessi per la programmazione degli obiettivi futuri. Ora, oggi, non è proprio il momento più adatto, si rischia di perdere un attimo così prezioso.
Allontanarsi qualche metro più in là e scoprire il varco verso un incitamento caloroso gestito dai Marziani che con il ritmo delle percussioni sembrano voler spazzare via ogni stanchezza prima dell’ultima curva prima dell’arrivo trionfante. In quel momento, Milano non sembra neanche la stessa città. I maratoneti ti guardano straniti, gli staffettisti più freschi abbozzano qualche passo di danza, alcuni arrivano bardati da Tartarughe Ninjia, altri vestiti come i personaggi di Guerre Stellari.
Se non fosse stato l’ultimo tratto di una maratona, l’avrei definito quasi un movimento surrealista. In quel momento le diverse Onlus cominciano la loro parata verso l’arrivo. L’Abbraccio ha percorso l’ultimo tratto della maratona per accompagnare Niccolò e Luca in questa avventura. Vederli arrivare sposta nuovamente l’attenzione, i pensieri e i sentimenti con un salto quantico. Affiancarli, respirare la loro energia, il loro entusiasmo e soprattutto il loro amore per a vita ha definitivamente messo in secondo piano ogni altra cosa. Il mondo si è fermato tutto intorno, solo le emozioni hanno continuato a confluire nel flusso della vita cercando di lasciare, attraverso la corsa, un piccolo messaggio: con l’Abbraccio si può.
Articolo scritto e redatto da FRANCESCA TOGNONI | Tutti i diritti sono riservati