Gucci F/W 2018 è stato un invito-countdown che ha scandito i secondi fino all’inizio della sfilata, è stato asettico rimando alla più spiazzante e fedele sala operatoria, è stato l’atto creativo di un genio nelle cui mani il brand fiorentino ha assurto la figura guida per il Made in Italy nel mondo.

21 Febbraio 2018: pareti verdi, di quel verde riconoscibile per le sue sfumature ospedaliere, rivestono la location coronata da sedie perfettemente bianche, come in una qualsiasi sala d’aspetto; al centro un lettino, illuminato da una lampada scialitica ed è così che si rivela l’ambientazione per questo show. A un segnale convenuto, allo scadere dei secondi i timer-invito hanno iniziato il loro cicaleggio che è scemato per lasciar posto ai bip cardiaci su cui si sono insediate le note di uno struggente Stabat Mater. Una luce asettica, mortuaria illuminava la sala e il senso di angoscia, misto a curiosità, ha pervaso gli animi del front-row ancora una volta ammaliato dalla straordinaria creatività di Alessandro Michele, il designer romano che ha rivoluzionato il mondo Gucci. E’ stata teofania dell’avvento quando, nelle scorse collezioni, Alessandro- Lallo per il mondo della Moda- ha profetizzato l’imminente guccificazione che è avvenuta.

Ispirato  al Manifesto Cyborg, scritto nel 1984 da D. J Haraway, la successione degli outfit è stata sinossi visiva del concetto di ibridazione perchè non c’è stata distinzione anatomica e molte uscite hanno vestito passamontagna che hanno alluso alle Pussy Riot oppure hanno indossato i foulard recanti le celebri stampi ma piegati in una perfetta maniera geometrica; c’è il rifiuto del dogmatismo e la conseguente rivoluzione perchè Lallo si è immaginato chirurgo volendo volutamente operare, tagliare e ricucire la Moda e farne, novello Frankestein, una creatura nuova, dotata di un terzo occhio come quello esibito da un’eterea modella per guardare oltre, per fendere il futuro incerto. E’ un rimando continuo a suggestioni televisive, a orpelli punk e gipsy che hanno intessuto rapporti sorprendentemente innovativi con cristalli, pelliccia (rigorosamente falsa, come il brand ha deciso di fare dalla scorsa collezione, n.d.r.) e scarpe realizzate nelle fogge più disparate, da quella da trekking resa lussuosa al celebre mocassino pensato in colori poco ortodossi.

Col contributo di Makinarium, laboratorio capitolino d’eccellenza per la realizzazione di effetti speciali, si sono visti draghi e serpenti, camaleonti e teste mozzate portate come accessori: non potevano che esserci questi elementi, veri totem dualistici e fantastici.

Turbanti da discepoli sikh con la fantasia scozzese, frange di lana abbinate ai cristalli, giacche e scritte varsity a ri-creare l’idea del completo sartoriale, secchielli logati con la doppia G su vaporose stampe floreali, la nudità dei cristalli su vestiti iper trasparenti sono solo alcuni dei motivi iconici di questa sfilata che alcuni hanno aspramente criticato per l’efferatezza della location o per l’incoerenza della vestibilità, ma che resta un sorprendente gesto artistico, un atto creativo univoco e superbo.

                       Articolo scritto e redatto da Ciro Sabatino | Tutti i diritti sono riservati

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