Non si sceglie di essere runner. Quando ti stringi i lacci delle scarpe e chiudi l’impermeabile, quando ti tiri la porta di casa alle spalle e senti l’aria fredda di una qualsiasi sera piovosa di febbraio che ti scartavetra la pelle e invece di buttarti nuovamente sul divano esci sotto le pesanti lacrime che cadono da un cielo incupito, sbuffando come una locomotiva per il tuo allenamento pianificato non lo fai per scelta. O almeno non consapevolmente. Lo fai perché è nella tua natura, lo fai perché sei una moderata testina di cicoria, lo fai perché come in tutte le cose rinunci ad un beneficio immediato (il divano) per un supposto maggiore beneficio futuro (il divano dopo la corsa e la doccia calda). Un po’ come non lavorare subito dopo la maturità, ma andare all’università rinunciando ad un beneficio immediato (i primi stipendi) nella speranza di un maggiore beneficio futuro (ahahah buona questa)
Sono stati mesi impegnativi quelli del progetto cityrunners di Adidas, serate in cui arrivavi a casa tardi dopo giornate intense di lavoro e il richiamo del divano era più intenso di qualsiasi omerica sirena e noi, novelli Ulisse lo abbiamo scansato con un’alzata di spalle per uscire con la nostra nuova compagna, la corsa, che non ha nulla della giunonica Inga e ricorda molto più Frau Blucher. Mattine con sveglie assurde perché magari tutta la settimana non c’era una sera libera per allenarsi e non si poteva perdere il ritmo, perché magari la gara si stava avvicinando e non ci si poteva permettere la minima sbavatura. Sabati di sole passati lungo il naviglio a rincorrere una distanza, un ritmo, un tempo che in settimana ci parevano ancora irraggiungibili e che col tiepido sole della primavera lombarda si sono invece rivelati a portata di mano
Tutto ciò punteggiato dai piacevolissimi incontri organizzati dal team di Adidas che non voglio aspettare la fine dell’articolo per ringraziare. Grazie a Giorgio Rondelli per l’incredibile spinta motivazionale che è stato capace di infondere in occasione di ogni singolo allenamento, perché se un atleta raggiunge il proprio obiettivo, almeno metà del merito va all’allenatore che è stato capace di portarcelo. Grazie a Elisa Cova che ci ha accompagnato durante gli allenamenti e con la sua spontaneità e freschezza ci ha reso tutto più leggero e gradevole. Grazie a Patrizio Pintus che ci ha aiutato a considerare la corsa da un punto di vista più ampio, non limitandoci al gesto atletico in sé, ma guardando al quadro d’insieme. Grazie a Elena Casiraghi per aver combattuto la battaglia della corretta alimentazione in relazione alla corsa (battaglia per me persa in partenza, d’altronde cosa si corre a fare se poi non si può indulgere abbondantemente nel vizio?). Grazie a Virginia Bettoja per le splendide foto che ci ha fatto durante le sessioni di allenamento e le gare, perché mentre noi ci divertivamo in pista lei era lì che lavorava. Grazie a Elisa Ramella, sempre disponibile per risolvere qualsiasi problema di organizzazione. E grazie a Irene Petrolini, Stefano Pozzi, Tania Loschi e a tutto il team di Adidas che ci ha seguiti
Grazie alla mia splendida squadra con cui ho condiviso le emozioni della staffetta. Grazie ad Antonino Caputo, vero runner appassionato che mi ha spronato in questi mesi e che si è messo in testa che adesso devo mettermi a preparare anche la maratona (quasi quasi gli do retta, voi che dite, mi iscrivo alla maratona di Valencia a novembre?). Grazie a Guido Pelizzatti Perego per aver accettato l’invito e averci accompagnato in questa bella avventura che spero di ripetere quanto prima. Grazie a Bruno Salmistrari per avermi dato la possibilità di correre per una buona causa come quella di Senegol. Con dei compagni di squadra così non poteva che essere un successo, e non parlo solamente della staffetta
La corsa è andata bene, il sole splendeva prepotente sopra le lande meneghine e l’avvicinamento dalla sperduta periferia rhodense al capoluogo morale d’Italia (risate registrate) è stato fatto a tutta velocità. Alla fine il tempo ufficiale sui 12,7 chilometri della prima frazione è stato di 51:02 che mi è valso il 91° piazzamento sui quasi 2.200 partenti. Questo è il vero carburante del runner, quella scossa che ti pervade quando metti il pettorale numerato, il rimbombo dello start, il rumore di mille scarpe che pestano sull’asfalto e di mille polmoni che si riempiono e si vuotano ritmicamente, la nuca del corridore davanti a te che ti dà un punto di riferimento e un obiettivo da raggiungere, i ragazzi dell’organizzazione che applaudono al tuo passaggio. E poi il corridoio finale, quei 200 metri in mezzo alla folla (beh, folla, adesso non esageriamo, per la questura c’erano 50 persone) in cui scopri di avere energie oramai date per perdute, alzi la testa e fai finta di essere fresco come una rosa piazzandoci anche uno sprint finale
Perché alla fine, quando saremo vecchi, non ci ricorderemo di quanti bilanci avremo chiuso, quanti finanziamenti rinegoziato e quante presentazioni avremo fatto in power point (antichi c’è Prezi!). Ma quell’ultimo chilometro, quella sensazione di euforia che si sprigiona quando entri nel tunnel di gente che ti accompagna fino al traguardo, con le gambe che improvvisamente diventano più lievi e sembra quasi di planare fino all’ultimo magico metro. La consapevolezza di avercela fatta che si fa strada dentro di te quando stoppi il cronometro, guardi il tempo e sei sotto al tuo obiettivo. La coscienza di aver affrontato momenti difficili, di averli guardati in faccia senza timore e di averli passati con le gambe che pompavano a tutta. Questo sì che ce lo porteremo nel nostro bagaglio esperienziale, guardando indietro col sorriso sulle labbra (insieme soprattutto ai massaggi dopo la corsa e le birrette con gli amici per reintegrare i sali minerali persi)
E come amo dire: drink better, run faster, avanti cityrunners!
Articolo scritto e redatto da Federico Malgarini | Tutti i diritti sono riservati