25 marzo 1986, San Giovanni in Perisceto. Ecco le coordinate spazio-temporali dell’uomo che pochi giorni fa ha scritto una pagina storica nel panorama del Basket nazionale ed internazionale. Il suo nome è Marco Belinelli ed è il primo giocatore italiano ad aggiudicarsi il titolo NBA, grazie alla vittoria dei suoi San Antonio Spurs contro i campioni in carica Miami Heat.

Per i non addetti ai lavori o per chi  vive il basket nel mito di Michael Jordan e delle sue magiche scarpette griffate che lo proiettavano al canestro come un boeing 747 in decollo, quello di Marco Belinelli è un nome poco noto.

La carriera di Marco è sempre stata contraddistinta dall’umiltà e dal basso profilo, tipico di chi vive lo sport come una passione piuttosto che di un lavoro. E’ così che si fa notare dalle squadre della sua Bologna, dapprima con la Virtus, dove appena quindicenne ha l’occasione di approcciare il professionismo vicino al suo mito Manu Ginobili, lo stesso giocatore con cui, tredici anni dopo, ha condiviso il traguardo del titolo NBA. L’avessero scritta i fratelli Grimm, sarebbe stata una fiaba perfetta.

 

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Il passaggio all’altro cuore pulsante della Bologna cestistica, la Fortitudo, ha segnato la consacrazione e la maturazione definitiva di Belinelli sul territorio italiano ed europeo, tanto da allertare le prime sirene degli scout del Basket professionistico americano.

Dopo avere contribuito alla vittoria dello scudetto della squadra bolognese si aprono le porte per il grande palcoscenico americano presentandosi al Draft del 2007 come prima scelta europea, selezionato dalla franchigia dei Golden State Warriors.

La strada sul territorio a stelle e strisce era già stata aperta da Andrea Bargnani, ‘Il Mago’, che nel draft precedente era stato selezionato come prima scelta assoluta dai Toronto Raptors.

I paragoni dei tabloid americani si sprecavano e lo splendido periodo di forma del talento romano andava in contrasto con l’approccio timido del ragazzo bolognese. L’anno successivo si è aggiunto alla spedizione italiana Danilo Gallinari approdato, con grande seguito dei media, ai Denver Nuggets.

Marco non è ragazzo da copertine nè da Gossip, lui pensa a giocare, il contorno rimane tale. Ed è così che dopo la prima esperienza nella franchigia di San Francisco, dove il minutaggio riservavatogli non gli ha consentito di rendere al meglio, eccolo approdare, nel tourbillion dei movimenti di mercato, passando per Toronto e New Orleans, a Chicago. Proprio nei ‘Bulls’ di quel MJ23, ormai lontano dai campi, ma stampato nella mente di tifosi ed appassionati.

Un segno del destino? Chi lo sa. E’ assodato che l’esperienza di Chicago abbia aiutato Marco a crescere come uomo e come giocatore, a capire i ritmi di gioco e le dinamiche di uno sport diametralmente differente dal palcoscenico europeo. Qui riesce, grazie ad un rooster di qualità tra cui si annoverano nomi come Rose e Noah, a segnare il primo record: primo giocatore italiano a superare il primo turno dei PlayOff.

Nel luglio del 2013, una delle migliori squadra del campionato NBA, i San Antonio Spurs si assicurano le prestazioni di Marco Belinelli. Gli Spurs non scherzano mai, hanno un unico obiettivo consolidato: arrivare all’anello (un altro modo per identificare il titolo NBA) tutte le stagioni.

In qualche modo si possono paragonare alla Germania calcistica, ovvero una di quelle squadre che arriva sempre in fondo alla competizione che conta. La differenza è che San Antonio spesso e volentieri, la vince.

Il team diretto dal guru Greg Popovich vanta nel rooster attuale personaggi del calibro di Tim Duncan, Tony Parker ed il già citato Manu Ginobili. Una squadra consolidata negli anni, in cui Belinelli si è inserito in modo armonico, spinto dalla motivazione che coach Popovich ha saputo dargli. I minuti ed i canestri sul parquet aumentavano di partita in partita, portandolo a presenziare e vincere la classica Gare del Tiro da tre punti all’All Star game 2014.

Da lì è iniziata l’inarrestabile cavalcata verso il titolo culminata nella vittoria nelle Finals per 4-1 contro i quotatissimi Miami Heat di ‘Sua Maestà’ Lebron James, Dwane Wade e Chris Bosh.

E’ il momento della festa per Marco ma soprattutto per le lacrime, dovute ai sacrifici e alle tante porte in faccia ricevute. Ma la storia, per chi non è ‘il prescelto’ e non indossa scarpette magiche, si scrive solo attraverso il lavoro e l’umiltà, doti che pongono oggi Marco sul tetto del mondo.

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Belinelli

Credits: ESPN, Reuters

Articolo scritto e redatto da Luca Gandini | Tutti i diritti sono riservati

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