La gravidanza è un periodo meraviglioso. È uno di quei susseguirsi di emozioni, stati d’animo e situazioni che rendono davvero uniche nel loro genere le giornate che si snocciolano per le 40 settimane che separano l’idea dalla realtà. È incredibile come la vita in nove mesi venga completamente rivoluzionata. È incredibile come il corpo umano sappia esattamente che cosa fare e segua le sue fasi, una dopo l’altra, senza che tu nemmeno te ne renda conto.
E così, mentre dentro di te si crea la vita, intorno a questa esistenza nuova che prende forma c’è tutto un alternarsi di stati d’animo che rendono la gravidanza un momento di riflessione e felicità, ma anche di paura, di eccitazione e di irrazionalità.
Non è solo il corpo della donna ad essere “posseduto”, ma anche la mente, la razionalità e l’intelletto sono messi a dura prova dagli ormoni e da questa situazione tutta nuova che la futura mamma si trova ad affrontare. È come stare su una giostra che, vorticosamente, sale e scende senza che noi ce ne accorgiamo quasi e non siamo più capaci di trattenere le emozioni che arrivano dritte alla mente senza rallentare lungo il loro percorso, senza farsi ostacolare dai filtri che, nella vita quotidiana, applichiamo per mantenere riservate certe sensazioni ed emozioni. Spariscono le vie di mezzo, non siamo più capaci di trattenere per noi le lacrime, sia che esse siano di gioia che di dolore. Basta un nonnulla per farci traballare o per farci emozionare di felicità.
In tutto questo nasce la paura. Paura irrazionale che fino a qualche settimana fa non conoscevo, non sentivo e non capivo. Poi con l’entrata nell’ottavo mese, l’appuntamento in ospedale per fissare il cesareo e questa pancia che sta diventando sempre più ingombrante è iniziata la concretezza della fine del percorso. Lo vedi, è come se, non molto lontano da te, ci fosse e fosse tangibile. Non è più solo l’idea, è il traguardo con il nastro colorato, con il primo pianto, con le manine che aspettano di volteggiare nell’aria, con la parola mamma che acquista un significato.
E lì, proprio nel punto dove la felicità trova la sua concretezza e si trasforma, proprio lì nasce la paura. È una paura totalmente irrazionale, è la paura di chi non ha mai affrontato un parto. E la paura di non farcela, la paura che qualcosa vada storto, la paura che l’errore umano faccia la sua comparsa. Tutti ti ripetono che andrà bene, che l’operazione durerà poco, che il tuo corpo non farà fatica a riprendersi dal taglio e dai punti. I dottori che incontri ti ripetono come un mantra all’unisono la stessa cosa
andrà bene, è un’operazione di routine.
Ma la paura irrazionale è lì: ti guarda, ti osserva, ti fa tremare, ti tiene sveglia nel cuore della notte fra sé ed i ma. E vorresti solo che quel giorno, quello della luce, arrivasse in fretta per poter fugare ogni dubbio e scacciare, una volta per sempre, questo stato d’animo che ti tormenta, che ti fa formicolare il naso e che ti bagna gli occhi di lacrime. È umano, assolutamente comprensibile e quasi naturale che tutto questo avvenga ma tu, che ci sei immersa come un biscotto nel latte, lo percepisci come un ostacolo enorme ed insormontabile. Poi, dicono, arriva quel giorno. E dopo il pianto, il primo pianto della nuova vita cresciuta dentro di te, cancelli dai tuoi pensieri la paura e vidi la felicità.
Quindi paura, ascoltami bene. Ci vediamo in ospedale per dirci addio.
Ma guarda che non è irrazionale per niente!
Il mio primo figlio è nato con un cesareo inaspettato, ero talmente confusa che sono andata un sala operatoria come un automa: fai questo, fai quello, alza il braccio, sdraiati in fretta.
Il secondo è stato un cesareo programmato: una volta portata nel blocco operatorio, alla vista delle strumentazioni e del personale che andava avanti e indietro e il frescolino e l’odore di disinfettante stavo per dare fuori di testa. Passa il mio medico, mi fa una carezza di incoraggiamento, “allora, dottore, alla fine ci siamo arrivati” “ci sei arrivata, io ti ho solo agitato una sonda sulla panza un paio di volte al mese”, sono tutti carini e gentili, ma quel sottile terrore non se ne va. Solo alla fine, quando il mio medico lascia posto allo specializzando per chiudere e lo specializzando si mette a parlarmi e a fare battute, solo lì inizio a capire che sì, molto probabilmente non sto per stirare le zampette, che molto probabilmente mi aspettano tante notti insonni e pianti incomprensibili e una vagonata di meraviglia a ogni nuovo giorno.
Un abbraccio da chi ci è già passato: ci vediamo dall’altra parte della sala operatoria!
grazie per il tuo pensiero!! 🙂 un abbraccio grande a te