Ma siamo proprio sicuri che sia la cosa migliore da fare? Ma siamo in montagna, a 1753 metri, non possiamo continuare a poltrire beati? Farà freddo, è inverno ormai! Ci sentiremo osservati. Non staremo bene, magari, compromettendo il resto della giornata. Meglio rimanere in casa, non ti pare? Capisco che non essendoci la neve, sia naturale pensare alla corsa, ma…
Una voce mi intima di uscire ed inizia il conto alla rovescia. Non ho scampo. Non ho più scuse. Si esce.
L’impatto con l’aria non è così tragico. Frizzante. Vivace. Pungente al punto giusto, quello che serve la mattina per risvegliare le membra intorpidite e scuotere anima e corpo.Il sole illumina in tutto il suo splendore il paesaggio circostante. La natura pronta ai freddi più rigidi, alla coltre di neve che tutto copre e nasconde, tutto conserva durante la stagione invernale fino alla prossima rinascita, la prossima primavera.
Ho sempre pensato di odiare l’inverno, di amare la primavera per la sua forza rinnovatrice che inonda ogni cosa e la rende più brillante, piena di nuova vita, ma oggi, l’inverno ha tutto un altro fascino. Iniziamo a correre e le gambe accusano immediatamente l’altimetria, facendosi sentire più pesanti, quasi avessero delle cavigliere da potenziamento. Le strade salgono con ritmi differenti e sconosciuti, un percorso nuovo crea sempre un po’ di timore, quasi l’ansia di sapere dove andare per poter compiere il proprio dovere. Ma oggi non è un dovere, oggi è un percorso alla scoperta di un inverno che tarda ad arrivare. Il senso di affaticamento si acclimata e diminuisce all’aumentare del ritmo. Nella mia testa, pregusto per un attimo i benefici dell’allenamento in quota che ne trarremo domani sera, tornati a casa in pianura! Nel frattempo, il percorso sembra in piano, invece, le gambe accusano il falsopiano che gradualmente cede il passo ad una salita più impervia. Il fiato si accorcia e le ripetute in salita fatte finora sembrano non aver ancora apportato tutti i loro frutti. Un tornante e la strada si fa ancora pianeggiante. Il paese ormai è sovrastato dalla maestosità delle montagne, l’aria sembra ancora più pura. Le case hanno ceduto il passo alle malghe dove ci si affretta a sistemare le ultime cose. Può cambiare il vento e tutto potrebbe assumere un aspetto nuovo in un’unica notte. Saliamo ancora un po’.
Il senso di fatica ormai è totalmente ottenebrato dallo stupore, dalla luce e le immagini che gli occhi cercano di registrare. Il sottobosco è un brulicare di scricchiolii sospetti che celano anche in questo caso l’attività frenetica di chi beneficia degli ultimi giorni per fare un po’ di scorte. La natura fa il suo corso esattamente come la mia corsa lenta, resa dura dall’altura e dal percorso. Mi sento lo spettatore di una stagione di Vivaldi, mi lascio inondare da ciò che mi circonda, mi lascio scaldare dai raggi del sole che sembrano tenui sull’abbigliamento tecnico.
E’ ora di scendere e la discesa non è meno tecnica e sfidante della salita. Un equilibrio dinamico tra la postura del busto e la forza delle gambe che vorrebbero essere lasciate libere di esprimersi, ma che incontrano chi li trattiene per non incorrere troppo facilmente in un infortunio. La discesa potenzia quanto la salita e fa usare muscoli che altrimenti sarebbero sfruttati unicamente dall’esercizio ripetuto del passo. Tornati verso il paese, la strada si fa meno ripida, la postura si ricompone e torna protesa verso casa.
Non l’avrei mai detto. Anche l’inverno è riuscito a sorprendermi e lasciarmi assaporare il gusto di una corsa nuova e cambiarne la sua percezione.
Articolo scritto e redatto da FRANCESCA TOGNONI | Tutti i diritti sono riservati