Francesca Liberatore è una fresca trentaquattrenne romana che ha fatto della Moda il proprio credo.

Romana, classe 1983, Francesca ha da poco mostrato al mondo italiano le proprie doti durante la sfilate per la Settimana della Moda milanese quando, negli spazi del Mudec di Via Tortona, è andata in scena tutta la sua bravura.

Finora solamente le passerelle americane o internazionali in genere avevano avuto l’onore di ospitare la designer, ma anche Milano ha voluto tributare un altro orgoglio italiano regalando al pubblico un raro saggio di garbo ed estro.

Laureata in Fashion Womanswear al Central Saint Martins di Londra, consolida la sua esperienza internazionale lavorando negli uffici stile di alcune delle migliori maison del mondo: Viktor & Rolf ad Amsterdam, Jean Paul Gaultier a Parigi e Brioni Donna.

Da molti definita come enfant prodige, Francesca è uno di quei casi in cui il ritorno in patria ha coinciso con una generale consacrazione.

E’ prima una persona e si è servita di trame e orditi per progetti umanitari  come “a t-shirt for life” per la campagna Unicef “Vogliamo0” o per la campagna “C4C” della Banca Mondiale riguardo cause e conseguenze dei cambiamenti climatici, e ciò ovviamente la pone su un piano etico di grande valore; è poi stilista, brava e talentuosa, che ha saputo sempre mescolare suggestioni orientali e ricordi occidentali nella creazione di uno stile adattabile alle esigenze moderne e soprattutto rispettoso della donna contemporanea.

La passerella milanese è stata meltin-pot di culture, diario di viaggio su cui le annotazioni l’hanno scritte la sua anima. Il suo recente viaggio in Pakistan è stato motore creativo per disegnare abiti che sono anche una valorizzazione delle donne come elemento trainante per la riduzione della povertà e la promozione dell’imprenditoria femminile, contribuendo quindi al raggiungimento dei Sustainable Development Goals.

Le note di Fabrizio De Andrè hanno scandito l’esordio dello show quando sono apparsi outfit superbi per le forme e i tessuti, per quell’esaltante vitalità cosmopolita non disgiunta da un certo rigore mannish: fiori purpurei su gonne maschili, pizzo etereo che spuntava da capispalla sartoriali, grattacieli stilizzati nella più favolosa bicromìa di bianco e nero. Guizzi di soffice pelliccia coniugati con la stampa vichy, maglie color caramello ad accarezzare la silhouette, resa ancora più sinuosa da frange e lunghe sciarpe su cui si è scorta la scritta “Peace will come”, e la pace, con Francesca, è veramente arrivata perché ha saputo rendere moderno il velluto, di un sognante celeste, trapuntandolo di decorazioni dorate, manifesta allusione agli abiti dei settecenteschi simulacri della Vergine Maria.

Alla fine è apparsa lei, Francesca, che ha giusto mosso pochi passi per consegnarsi al pubblico in estasi e ha ringraziato con il più sincero dei sorrisi, quello di chi vive di passione e ha fatto della propria idea di moda un viaggio etico e soprattutto umano.

Articolo scritto e redatto da Ciro Sabatino | Tutti i diritti sono riservati

 

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