Appena atterrato in Italia, mi fermo subito a raccontare questa mia esperienza negli Emirati Arabi, e più precisamente a Dubai.
Prima volta nella città cosmopolita di domani, quella in cui le isole crescono dalle acque e che ha vinto il bando per l’Expo 2020: la città dei record, l’hotel con più stelle al mondo, il grattacielo più alto, ed altri numerosi.

Ne parlo ancora con il profumo in bocca dei frutti di mare cotti ai ferri mangiati ieri sera con humus ai pistacchi accompagnati da una limonata con menta fresca all’ombra dell’imminente Burj Khalifa.
Quindici giorni, per esplorare, rilassarsi, ed cercare di capire una società con usi e costumi lontani da quelli abituati a vedere tra le città occidentali e le nebbie padane. 

Il primo impatto è stato forse dei peggiori, ma è giusto che vi racconti due righe su di me per capire perchè questo aspetto mi ha scioccato.

Sono Siro, studio retail marketing, cresciuto a Rovigo, piccola cittadina del Veneto, guardando al pc i grattacieli di Manhattan e le spiagge di Miami, una volta a Londra sono rimasto sbalordito da Canary, mentre a Parigi dalla Defence. Insomma, grattacieli, architetture futuristiche, questo è quello che mi piace, questo è quello ho sempre desiderato.

Ecco perché, tra un paio di guide e diversi racconti, avevo intuito Dubai sarebbe dovuta essere stata la città perfetta, la prediletta, considerando anche i 20 gradi di fine gennaio, mentre nel Belpaese il termometro balla raffreddato intorno allo zero.

Arrivato, dicevo, subito davanti a me, come una sberla per gli occhi, tutti i grattacieli di Dubai: facendo la strada principale, la Shack Zeyd Road (quella affiancata dalla metropolitana, senza autista, che per la maggior parte viaggia rialzata dieci metri da terra) e arrivando al polo di fine della città, Marina, si può già avere un’idea di cosa ci si deve aspettare: altisonanti coreografie di grattacieli, luci a led che si alternano nella notte, dando vita a spettacoli di luci, a volte pure barocchi, ma comunque unici ed ammaglianti.

 

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Spazi vasti (la città si estende per lungo la costa per circa una cinquantina di km), grattacieli enormi (dei top 100 mondiali, 20 sono a Dubai), si ha come una sensazione di straniamento, di come il denaro possa tutto, e di come sia difficile trovare un po’ di cultura in tutto quel bazar di modernità.

Giorno dopo giorno però, ho provato a superare questo empasse iniziale, mi sono calato nella vita locale, ho preso la metropolitana in cui le donne hanno la loro carrozza riservata, ho passeggiato per i mall (due su tutti: Dubai Mall, il più grande al mondo, e Mall of the Emirates, dove potete trovare la pista da sci interna) che sono il vero centro di ritrovo urbano, dove tutti, giovani, adulti, sceicchi, turisti si ritrovano per socializzare, comprare, mostrare.

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Città creata sulle basi del consumismo, Dubai mi ha regalato un’ottima abbronzatura in stagione invernale, ma soprattutto mi ha fatto intuire che le donne, viste con il Burkah, e considerate come “prigioniere” dell’uomo padrone, sono invece messe su un piedistallo: la già citata carrozza ad hoc in metro, file riservate nelle poste e nei pubblici uffici, grande rispetto da parte di tutti, ad un prezzo però, che non passa inosservato.

Ed allora via, andiamo a scoprire la parte più antica Bur Dubai, dove ho potuto sfoderare anni e anni di esperienza cumulata con i Vu cumprà in spiaggia, contrattando per il classico costume arabo, e qualche pascmina con i venditori locali. Zone ricche di colori e tradizioni, dove vieni assalito dai venditori e dove ti puoi ubriacare tra i forti profumi di spezie venduti nel Dubai spice Souk.

A proposito di ubriacature: secondo la legge locale, l’alcool può essere venduto solo a chi ha la licenza, ed in apposti posti, oppure negli hotel; questo significa, cene senza vino, rari aperitivi al volo, e carrello della spesa un po’ più vuoto.
Il secondo neo invece, l’ho ritrovato nel “non effusioni in pubblico”: secondo gli usi infatti, tenersi per mano o braccetto è consentito solo a persone sposate, gesti d’affetto quindi, da conservare dentro le proprie mura, o nella mente.

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Concludendo, credo che dovrò, nonostante la first impression ed alcune stranezze, chiudere in bellezza, perchè è con le lacrime agli occhi che ho ripreso l’aereo per il ritorno, perché nonostante tutto, è una città molto ordinata, pulita, dinamica, cosmopolita e pronta a rispondere alle voglie della nightlife, dell’intrattenimento, e che se anche pecca in aspetti culturali, si rifà nella voglia di crescere e di stare al passo con altre metropoli, almeno esternamente..

Ecco (e qui concludo veramente), secondo me si può descrivere la Dubai di oggi, 2014, con una metafora: una donna del posto al contrario: moderna e alla moda esternamente, ma costretta di tradizioni e regole all’interno.

E la domanda mi nasce ovvia: riuscirà a maturare un animo cosmopolita entro il 2020?

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 Articolo scritto e redatto da Siro Descrovi | Tutti i diritti sono riservati

 

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3 Risposte

  1. Carolina

    Ciao!
    Sono andata l’anno scorso e ho avuto le tue stesse impressioni, nonostante tutto è una città che mi è rimasta nel cuore e dove spero di ritornare.
    Sono anche incuriosita da Doha, ci sei già stato?
    Bacio

    Carolina