Mi è venuta voglia di scrivere, così senza un vero motivo. Forse per svuotare la testa che si china lentamente da un lato per il peso dei pensieri che porta con se. Forse per svuotarmi un po’ di quel dolore che sento dentro e che prepotente sta annerendo tutto l’intorno. Forse solo perché quando vedo una tastiera ne sono attratta come se fosse un magnete.
Mi sono seduta alla scrivania, nel silenzio pesante di questa casa che amo e che contiene quanto di più prezioso io possegga: la mia famiglia. Mi sono seduta e ho chiuso gli occhi e ho respirato il silenzio e la mente ha iniziato a viaggiare senza confine. È passata per la riva del mare, si è bagnata con gli schizzi della marea e delle onde che incessantemente battono sulla battigia. Si è sollevato in aria, come a voler vedere il paesaggio nel suo insieme e si è diretta verso la città, quella città che ormai è diventata la mia casa, Milano. Ha sorvolato le strade ormai quasi deserte, è rimasta incantata di fronte alle luci accese all’interno delle case che la fanno assomigliare a un presepe natalizio, di quelli che vengono ancora realizzati con i pezzi di legno nella chiese dei piccoli paesi. Ha viaggiato senza confine, infilandosi come una piccola mosca nel buco di una serratura e si è trovata in ospedale, avvolta dal rumore degli strumenti che incessantemente monitorano i pazienti, circondata dal personale medico che, da ormai parecchie settimane, non conosce limiti nei propri turni di lavoro e non si risparmia mai di energia e amore.
Ho aperto gli occhi di colpo ed ero di nuovo qui, seduta alla mia scrivania, nel silenzio protettivo e avvolgente del mio appartamento. Circondata da tutte le cose che fanno della mia quotidianità la mia vita, abbracciata in maniera impalpabile dai miei affetti che dormono a pochi metri da qui. In questo silenzio, quasi surreale, quasi apocalittico, tutto sembra normale, come se fuori di qui la normalità fosse ancora padrona delle nostre vite, e invece ci stiamo perdendo tutto. Stiamo perdendo la serenità, le persone care, la libertà, la consapevolezza, la quotidianità.
Ci sono stati dati strumenti che non sempre siamo in grado di utilizzare e ci sono state tolte le certezze di cui abbiamo sempre disposto. Ci siamo ritrovati nel limbo fra l’attesa, la necessità, la precarietà della nostra salute, un nemico invisibile ed un tempo incalcolabile. Come essere umano ho paura, come figlia ho paura, come madre ho paura. Non ho certezze da dare, non ho consigli da elargire, sono racchiusa in questo limbo nel quale mi trovo a fluttuare come se fossi un pesce nell’acqua, in balia della corrente e dei mutamenti delle maree. I genitori lontani e le bambine che non si capacitano del perché dobbiamo rimanere tutti in casa, senza vedere gli amici, le maestre, il parco e la scuola. Vaglielo a spiegare tu che finirà presto con la televisione e i giornali che ci snocciolano addosso soltanto numeri di morte e brutte notizie. Vaglielo a spiegare tu che non so assolutamente quando finirà questa quarantena. Vaglielo a spiegare tu che no, non è tutto normale e no, non andrà tutto bene.
Ne usciremo dilaniati, mente e corpo, anima e cuore. Stiamo tutti perdendo qualcosa, qualcuno. Stiamo tutti perdendo un po’ di vita. Forse è per questo che mi sono seduta qui a scrivere, forse avevo bisogno anch’io di buttare fuori un po’ di dolore, un po’ di quella tristezza che ti rimane addosso come il cloro quando esci dalla piscina. Forse è per questo che sono qui. Per imprimere un’emozione “da qualche parte”, quella stessa emozione che sta durando e che durerà un tempo indefinito e che mi cambierà, anzi mi ha già cambiato. Forse sono qui perché avevo bisogno di scriverlo per comprenderlo davvero nella sua complessità così unica, nella sua profonda e dilaniante realtà. Un virus invisibile ci sta atterrando, dilaniando, scalfendo. Ne usciremo? Sì, se inizieremo a remare tutti nella medesima direzione, facendo squadra, restando uniti e compatti. Restando concentrati ed equilibrati nei nostri “io”, nelle nostre famiglie. Che sia facile non posso dirlo, ma i nostri nonni hanno affrontato la guerra, i bombardamenti, le deportazioni. Noi possiamo farcela, glielo dobbiamo, lo dobbiamo ai nostri figli e a noi stessi.
#iorestoacasa