C’è qualcosa di profondamente commovente nel vedere l’invisibile prendere forma. Hermès, con HERMÈSTORIES: Va in scena un’avventura, ha scelto il teatro per fare esattamente questo: dare corpo agli oggetti, anima al tempo, poesia al gesto. E Milano, al Teatro Franco Parenti, si è fatta palcoscenico e casa per un patrimonio che sfugge spesso, se non accompagnato, alle parole.
Dal 1837 Hermès costruisce, ora non soltanto con le mani, ma con la mente: la creazione non esiste senza memoria. È questa la pietra angolare della regia di Pauline Bayle, che con delicatezza e ironia intreccia le storie degli oggetti iconici — il carré, la borsa Kelly, la Birkin, le scatole arancioni ‒ con quelle dei gesti: cucire, piegare, lucidare, conservare.
La scelta di portare questo racconto in teatro ha un valore doppio. Da un lato è celebrazione: il marchio fa ciò che sa fare meglio, cura dei materiali, maestria artigiana, estetica rigorosa. Dall’altro è interrogazione: che cosa significa eredità oggi? In che modo oggetti di lusso possono essere porte verso ricordi personali, al tempo stesso universali?
Pochi elementi, ben calibrati. Lo spettacolo dura circa 45 minuti, e poi apre verso un’esposizione: non una semplice vetrina, ma un invito a esplorare, a toccare con lo sguardo, ad ascoltare con l’udito, a vedere da vicino il dettaglio che spesso sfugge.



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Scena essenziale, luci che modellano superfici, la seta che rifrange, la pelle che trattiene ombre, la scatola che custodisce un gesto. La donna che interpreta Lad, lo scudiero, la narratrice, Monsieur Bruit che “suona” con l’artigianato: non solo figure, ma presenze che traducono il mestiere in suono, colore, corpo.
E poi quella sensazione, quotidiana e straordinaria al tempo stesso, che ogni oggetto porta con sé: il peso della storia, la precisione della mano, il desiderio che ha attraversato le generazioni. Il pubblico non resta spettatore: viene invitato a diventare custode, testimone, esploratore. Il Franco Parenti non è solo location. È città che ascolta, città che ricorda le sue botteghe, i suoi odori, le sue strade acciottolate, le sue vetrine illuminate. In questo spazio, Hermès non è solo un brand francese: diventa esperienza urbana, conversazione fra oggetti, persone, tempo. E il pubblico milanese è chiamato a riconoscersi: nei dettagli, nelle storie, nelle mani che fanno.







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Vale la pena sottolineare due aspetti che rendono Hermèstories diverso da tanti eventi “di marchio”.
Accessibilità e condivisione: ingresso libero con prenotazione, orari pieni ma aperti anche a chi si ritrova all’ultimo momento. Non è un privilegio esclusivo, ma un invito.
Multigenerazionale: lo spettacolo è adatto a ogni età, come se Hermès volesse che la memoria, della maison, della vita, dialoghi con bambine, anziane, adulti curiosi.
Alla fine, non è solo la celebrazione di un’azienda. È un promemoria: ogni volta che tocchiamo un oggetto del nostro quotidiano, che curiamo un gesto semplice, che tramandiamo una tecnica, stiamo costruendo storia. HERMÈSTORIES ci ricorda che la bellezza è responsabilità e vocazione, che lusso non è solo possesso, ma cura. Milano, con il suo respiro cosmopolita, il suo senso del design, la sua sensibilità culturale, accoglie questo spettacolo come occasione per fermarsi, guardare, ascoltare. E soprattutto per riconoscere che ogni gesto, ogni piega del tessuto, è scritto dal tempo e dal desiderio.

Img courtesy of Laura Renieri, illustrazione Hermes | tutti i diritti sono riservati

