Sono diventata mamma in un venerdì di dicembre che aveva il profumo del Natale in arrivo, della lentezza pre-weekend, del giorno delle grandi aspettative.

GIORNO 0

Cesareo gemellare programmato con convocazione alle 7 in pronto soccorso: una serata sola con il mio compagno, a dividere il divano che ci ha visti in questi mesi sempre più complici, innamorati delle creaturine che stavano nella mia pancia. Una cena leggera ma delicata di quei gesti semplici che parlano di amore. Siamo andati a letto tardi, sicuri che non avremmo dormito molto né per l’ora della sveglia né per l’emozione che stava salendo.
È stato come prima di un esame importante, della laurea, dell’ultimo giorno di un progetto grande. Tensione sana ed adrenalina si sono mescolate alla voglia di finire il ciclo, chiudere la porta, terminare quella cosa in stand by per iniziare qualcosa di nuovo. Sveglia, doccia e digiuno come da prescrizione, alle 7 puntuali eravamo al Pronto Soccorso. Da lì sono seguite le parti burocratiche: compila moduli, braccialetto al polso, ecografia, visita. Ci siamo, salutiamo i parenti e via solo io e lui al piano dove le bimbe nasceranno. L’attesa è lunga e snervante ma alle 15 mi chiamano in sala: ci siamo.

Si va a nascere!! (cit. Ale)

L’operazione è di quelle di routine. Un’ora ed un quarto totale. Sedata e felice per avercela fatta senza paura e con le bimbe che stavano benissimo mi godo lo stordimento delle flebo per un po’. Nello stesso stato, insieme a me, altre due neo mamme in una stanza prima e quattro in un’altra dopo. Finalmente vedo lui che è felice e mi sta vicino. Poi a turno i parenti che ora sono “nonni e zio”. La famiglia ci avvolge con la sua emozione e la sua ansia, ma è andato tutto bene. Sopratutto per le bambine ed in sincerità è l’unica cosa che mi interessa.
La notte è difficile. Da un lato la mia compagna di camera tiene il bimbo con se in stanza e giustamente lui piange tutta la notte. Le tre visite notturne alle mie flebo danno un bel colpo di rottura al poco sonno consumato e poi il distacco. Quello fa più male di tutto. La sera prima dormivo fra le braccia del mio compagno con le bimbe dentro di me, e dopo 24 ore di attesa e dolore mi ritrovo sola in un letto che non è il mio, con la pancia vuota di vita ed il mio compagno a casa. Il vuoto mi ha lacerato più del bisturi e il distacco è stato come una voragine che non posso negare. Ma noi siamo donne forti ed affrontiamo tutto con il sorriso, no?

 

GIORNO 1

La mattina al primo giro di visite chiedo delle bimbe e mi dicono essere in culla termica. Ergo non escono da nido. Io ho flebo e catetere e non posso muovermi dal letto. Ma la tenacia è donna e non sono certo qui per non vedere le mie figlie. Mi faccio staccare tutto, recuperiamo una sedia a rotelle e, spezzata in due dal dolore, mi faccio portare al nido. Si vedono attraverso la teca, puoi aprire gli oblò ed infilare la mano dentro. Piango. Il nostro primo incontro lo immaginavo diverso e tutte quelle teorie del contatto umano dove sono sparite? Sono arrabbiata ma devo farmi bastare tutto questo e non so fino a quando. Ma può davvero bastare? Mi ripeto come un mantra che la loro salute è la cosa più importante, torno in camera e provo a riposare il mio corpo provato mentre mi somministrano una dieta liquida per tutto il primo giorno.

 

 

GIORNO 2

Mi sveglio il secondo che vorrei gridare di dolore. La visita va bene ma anche male. Fibromi nell’utero, taglio più grande del parto cesareo singolo, punti anche sui lati per ancoraggio.. un bel mescolio grazie al quale sono come difettosa, dipendente da qualcuno che mi tiri su e giù da letto e sedia, dolorante e nevrotica. In tutto questo però le bimbe, che son già due rocce pazzesche, sono state tolte dalla culla termica e messe in quella normale, quindi restano cmq sempre al nido e di spostarle in camera non se ne parla però nel nido si possono prendere in braccio. Alla domanda del mio compagno se me la sento la risposta non può che essere sì, chissenefrega del dolore no? Le vedo, le prendo in braccio, il primo biberon. Lacrime a valanga, saranno ancora gli ormoni in circolo chissà. Accasciata per il male alla ferita che tira e brucia le tengo in braccia fino a che resisto e l’emozione ripaga di tutto. Quei musini, le mani ed i piedini così perfetti. Sono due combattenti che si amano, che ci guardano e capiscono che siamo noi.
Ora la vita inizia davvero e mi rendo conto del vero e profondo significato di tante parole come famiglia, dedizione, sorellanza, vita, amore incondizionato, felicità pura. Questi primi giorni sono stati durissimi, ma vedo in loro la stessa determinazione che fa parte di me, quella voglia di prendere la vita e farla propria. Vedo nei loro occhi la dolcezza del papà, nelle loro espressioni il mescolio di noi due e mi rendo conto che sono una donna molto fortunata. E per questo dono pazzesco che la vita mi ha fatto non smetterò mai di ringraziare. MAI.

GIORNO 3

Mi sveglio dopo una notte che non è stata delle migliori fra pensieri ed anti dolorifico che mi ha piantata a metà e ha portato via con se il suo effetto. Il morale è un po’ a terra ma il corpo sta reagendo bene. Ci svegliamo presto e il primo pensiero è quello di andare da loro. Biberon e chiacchiere con la pediatra, la giornata svolta: togliamo il monitoraggio e si va in stanza con la mamma. Ho il cuore che scoppia. “Davvero?” Chiedo e richiedo. È pazzesco! Come una dose di morfina sento assenza di dolore e felicità a mille. Vado in camera con le bimbe e la giornata è già favolosa anche se Milano ha un cielo grigio ed è lunedì. Le tengo con me, le sfamo, le guardo incantata. Amici e nonni passano a fare ciao, l’incanto è reale.
Arrivo alla sera con la schiena che brucia ma che mi importa? Ho loro. E li, in quel momento ti rendi conto che la vita rimescola le carte come vuole, sempre. Ti trasforma, ti immerge in situazioni che non pensavi possibili. Sposta il tuo centro di attenzione su un’altra persona (o nel mio caso due) e sai che non tornerà mai più indietro, che ora c’è qualcosa di più grande e straordinario a cui dedicarsi. L’istinto scatena la sua forza e, da che non avevi mai toccato un bimbo, ti obbliga ad imparare tanto cose nuove, tutte diverse e l’aspetto più sorprendente è che vuoi impararle.
Vado a letto con una felicità addosso che mi riesce quasi difficile smaltire come se fossi in overdose di adrenalina.

GIORNO 4

Sarebbe dovuto essere il giorno delle dimissioni, da prassi. Ma restiamo ancora oggi qui per prepararci al meglio anima e corpo (sopratutto corpo!).

Ho fatto 6 ore di sonno filato: 6 ORE. Mi sembra di aver dormito un mini letargo, sono stanca per i dolori ma mi sento pronta ad affrontare la giornata che sarà sopratutto di acquisizione informazioni di ogni tipo. Oggi qui non lo sanno ma è in atto la mia personale trasformazione in donna-quiz. Lavare, girare, cambiare, sfamare e molte altre azioni oggi prendono forma in realtà e si passa dalla teoria, o velata pratica, alla pratica autonoma perché da domani si inizia una nuova vita a casa (spero!) e non ci sarà il salvagente del nido a proteggermi.

Quanto latte? Come, quando, biberon, dosi e tempi.. Ho già in mente un foglio Excel dove annotare tutto come fanno qui (eh sì insomma alla fine sono un ingegnere no?!). L’idea di base è copiare il loro modello e farlo mio che, con due bimbe, è meglio organizzarsi per tempo e rendere il tutto più facile possibile (figurati se posso ricordarmi tutto a mente!).
La giornata scorre veloce anche se l’antidolorifico ha smesso il suo effetto questa notte ed era l’ultima assunzione. Ora inizio il girone dei dannati, quello di chi soffre e non può far niente altro che espiare (nel mio caso cosa non so, ma portiamoci avanti). Mi costa fatica stare in piedi ma sopratutto alzarmi dal letto. Ce la farò, ce la sto già facendo in realtà ma la gravidanza prima e la maternità dopo non sono uno scherzo. Ci vuole coraggio, determinazione e tanta pazienza. Ma giuro che tutto viene ripagato al primo sguardo, la gioia è così forte che come un fiume in piena spacca anche gli argini e ti travolge.
Le bimbe in camera sono un miracolo che ormai fa parte della quotidianità: lavate e profumate fanno la pappa serene e beate e dei gran pisolini appaganti dopo. Io solo a guardarle sto meglio anche se mi sento uno straccio. Sono già nella fase “le mie bimbe sono le più belle del nido, ma che dico, di Milano. Ma no dai diciamo la verità: del mondo!”. Aiutatemi, ditemi che anche per voi è così o, se non avete figli, ricordatemi come era la vita prima perché in questo momento sono un po stordita a riguardo.

GIORNO 5

La mia sopportazione presso l’ospedale è quasi al minimo storico. Dolorante ma ufficialmente dimessa, attendo solo che mi diano l’ok per le bimbe per volare a casa. Sì, so che sarà faticoso e fa anche un po’ paura questa responsabilità tutta insieme ma ho voglia di iniziare questa vita a quattro, nelle mura di casa. Cambio e pappa, facciamo colazione ed aspettiamo la pediatra. L’attesa è sempre lunga ma le dita sono incrociate. Ho voglia di andare con loro, senza ovviamente non mi muovo da qui.

Nel mentre che i minuti passano mi viene in mente una cosa semplice, quasi banale ma sorprendente nella sua unicità: ho i primi ricordi con loro. Non con loro nella pancia ma con loro “fuori” da me, insieme a me, fra le braccia del mio compagno, insieme ai nonni. La mia mente inizia a ricordare i loro visi, riconoscere i loro occhi, associare i loro corpicini. E’ la vita che è diventata realtà e mi sta sorprendendo, ogni minuto di più.

E mentre sono immersa in questi pensieri arriva l’ok della pediatra: si va a casa!

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A proposito dell'autore

Ingegnere? Pusher of Enthusiasm Consulente Digitale. Prof Universitaria Fondatrice di TheOldNow.it beauty. book. family. podcast. travel.

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