Esistono scelte di vita molto difficili. Scelte che creano degli spartiacque fra i capitoli che si susseguono nelle nostre esistenze e che generano movimento, cambiamento e rivoluzione. Quando sono rimasta incinta ero felicemente una dipendente: amavo il mio lavoro, i miei colleghi, la mia sede dell’ufficio e tutto quello che gira intorno a un contratto lavorativo. Mi sentivo appagata, mi sentivo parte di un processo che ogni giorno cresceva insieme a me. Mi sentivo un tassello di un puzzle dove i miei desideri di crescita e apprendimento si sposavano alla perfezione col desiderio dei miei superiori di efficienza e di obiettivi raggiunti. Poi sono rimasta incinta. Sono rimasta incinta di Gaia e Giada, una gravidanza gemellare difficile che, sin da subito, si è manifestata fisicamente impegnativa ed a rischio. D’accordo con il mio ginecologo, l’ospedale Mangiagalli e la struttura deposta per le gravidanze, si è deciso che la mia era una gravidanza a rischio e che quindi avrei dovuto mantenere una quotidianità calibrata sulle azioni diminuite in numero e impegno. Non avrei più potuto prendere i mezzi pubblici, guidare, stare in piedi per molte ore, stare seduta per altrettante ore. In pratica mi hanno costretto al riposo forzato, all’interno della mia dimora domestica. Il mio lavoro, tanto amato e desiderato, non era possibile farlo da casa, a distanza e così iniziai il periodo di maternità.
La mia maternità fu lunga: i fatidici 9 mesi – che per me durarono un po’ meno dato che le piccole sono nate premature – e i mesi che la legislazione italiana permette alle donne quando diventano mamme – doppia nel mio caso in quanto i bambini nati erano appunto due. Alla fine del mio periodo di maternità tornai in ufficio, o meglio tornai nell’ufficio delle risorse umane a parlare del mio rientro. Desideravo un part-time a tutti costi ma purtroppo, in quel momento, l’azienda non poteva ne farmi rientrare nella mia area di provenienza ne concedermi subito il part-time di cui avevo necessità. È così che, in quel momento, o meglio dopo settimane di pensieri, notti insonni e trattative, decisi di regalarmi un part-time.
Conti alla mano, fra nido e tate per coprire le mie ore in ufficio e le ipotetiche giornate di malattia delle piccole, avremmo speso di più rispetto al mio stipendio. C’era inoltre il fatto che sarei tornata in un ufficio che non mi apparteneva, completamente nuovo, come sradicata da quella che era stata la mia vita per i precedenti 7 anni. Sarei uscita la mattina senza vederle e sarei tornata a casa con loro pronte per cenare e andare a dormire poco dopo. Mi sarei persa tutto o quasi, tutti quei piccoli e grandi traguardi che i bambini raggiungono e conquistano con fatica. Avrei vissuto la loro vita e il loro crescere sui racconti di terze persone. Ho così deciso di procedere da sola, trasformare la mia passione in un lavoro, ritagliarmi del tempo di qualità e di quantità per le mie due bimbe. Sicuramente non è facile, soprattutto in Italia dove il mondo dei freelance è costantemente bombardato da problemi, rivoluzioni fiscali e tanta burocrazia. Ma, poter staccare a metà giornata e dedicarmi completamente a Gaia e Giada non ha prezzo e mi ricorda ogni giorno che, il momento in cui mi regalai un part-time per loro, fu uno dei momenti più importanti e belli della mia vita.