Sono stata così bene da figlia unica che non ho mai pensato di essere sfortunata a non avere un fratello, o una sorella. Li vedevo di frequente i miei amici non figli unici: li ascoltavo nei loro racconti, qualcuno lo capivo, altri no, ma io stavo bene così come ero. Non ho mai invidiato le famiglie numerose anche perché, con il passare del tempo, sentivo di parenti che desideravano non vedersi e di fratelli troppo lontani di età per frequentarsi. Ascoltavo storie di fratelli maggiori a cui si era data l’involontaria responsabilità di quelli piccoli e di fratelli minori che litigavano continuamente con i maggiori di età per libertà, vestiti e tanto altro. Di una cosa però mi sono accorta crescendo: che la compagnia di un fratello, o di una sorella, non sarà mai forte come quella di un’amicizia. E questo lo dico con un velo di tristezza e la bellissima consapevolezza che, dall’altro lato, le amiche sono le sorelle che scegli. Il mio non è un discorso sminuente per l’amicizia, legame in cui io credo fortemente, ma anzi una riflessione che si fa quando finiscono le scuole e ci si crea una propria famiglia, si lascia il nido dei genitori e si va oltre. E’ un pensiero che contempla qualcosa che i figli unici non hanno: il legame di sangue, quel sottile filo invisibile che ti tiene attaccato, che ti fa capire il passato ed il presente e che ti permette di ragionare sul futuro.
Nel mio essere una fortunata e felice figlia unica, oggi provo un piccolo dispiacere ad esserlo però. Consapevole che un marito od un’amica non potrà mai sanare un vuoto fisiologico, seppur piccolo. Felice però, di essere stata una vittima fortunata di questa strana e sorprendente regola del contrappasso, che mi ha fatto diventare mamma due volte in un solo momento. Giada e Gaia, le mie bimbe, sono nate insieme se si concede loro una licenza poetica di 1 minuto e mezzo fra l’una e l’altra. Questa loro nascita coordinata le ha permesso di viversi vicendevolmente da sempre, dal primo istante in poi. Ha donato loro un legame di sangue speciale: unico nel suo genere. Legame che oggi si manifesta silenzioso, con le loro mani che si cercano mentre fanno la pappa, con le risate che si stimolano vicendevolmente quando giocano, con le parole dette nel loro linguaggio segreto che permette loro di comunicare in una maniera esclusiva. Provare personalmente l’incredibile felicità di assistere a questi momenti mi fa pensare che siano arrivate nella mia vita per donarmi quella gioia che non ho potuto vivere da figlia unica perché alla fine, vederle felici, come sorelle prima e come amiche poi, mi riempie il cuore anche in quel posticino vuoto dell’essere figlia unica.