Per la nuova rubrica “L’intervista all’artista” oggi facciamo quattro chiacchiere con una giovane creativa: Elena Borghi. Scenografa, illustratrice e coltivatrice di parole dimenticate. Segni particolari: creatrice di mondi di carta incantati, paralleli universi surreali ed oniriche installazioni artistiche.

elena borghi intervista

M. Ciao Elena e benvenuta su Theoldnow.it da tutti noi. Ti puoi presentare ai nostri lettori?

E. Ciao a tutti, mi chiamo Elena Borghi, disegno visioni, creo esseri che prima non esistevano, coltivo parole dimenticate, ho una doppia personalità in conflitto con me stessa che ho chiamato Helen Villages (una cretina) e mi sento molto in sintonia con TheOldNow perché anima antica che vive il presente.

M. Ho iniziato a seguire Elena Borghi, giovane artista, brillante quanto sempre umile e sorridente creativa -e non dimentichiamolo penna abile e dissacrante- quando ancora componeva versi sotto forma di sottili e sarcastiche frecciatine di parole dallo storico blog MondoDonna.

Una vera e propria droga 2.0 la rubrica del venerdì delle parole chiave secondo Mister G. La chiusura del blog e quello che è diventato adesso è ormai un capitolo chiuso, ma ci puoi spiegare Elena, cos’è cambiato per te in questi ultimi anni?

E. Moltissime cose. Contemplo la mutazione ogni giorno. Già solo rispondere alle tue domande, qui, ora, mi rende un essere diverso da quello che ero un’ora fa perché ho un’esperienza nuova nel mio bagaglio personale. Negli anni ci sono state tanti appassimenti temporanei e fioriture colorate del mio Io, tanti cicli che si sono chiusi e nuove avventure che sono cominciate.

Credo che negli ultimi tre anni in particolare io abbia scoperto una nuova me, più consapevole di se stessa, del proprio valore, della propria identità. Questo ha rivoluzionato tutto il mio modo di vivere la Terra e le persone che in essa vivono ma, ovvio, il lavoro su me stessa è in continuo divenire, un cantiere che non chiude mai.

M. Quali sono state le tue più grandi conquiste?

E. Credo la consapevolezza. Una parola che racchiude molte fatiche per me ma anche molte soddisfazioni.

Elena Borghi per Sergio Rossi: Scintilla Papercraft Poetic Surrealism

 

 

 

M. Come hai trasformato la tua visione -e passione- in arte e professione, e già che ci sei, puoi dare qualche consiglio per l’uso a tutti quei giovani che si affacciano al mondo della moda e dell’arte a trecentosessanta gradi?

E. Ho trasformato la mia passione in lavoro credendoci, sempre e tenacemente. Poi ci sono voluti metodo, disciplina, impegno, ma anche curiosità, cuore, gioco.

La mia vita mi appare super avventurosa anche stando tra le quattro mura dello spazio in cui creo anche se, in realtà, è estremamente metodica e non ha niente a che vedere con quella dell’artista bohémien. Partendo dal presupposto che l’artista è una persona che ragiona in modo profondamente libero, ribelle, esso corrisponde a un essere pericoloso per il sistema che, di contro, lo vuole problematico, sofferente, povero.

Della serie “Se proprio vuoi cantare fuori dal coro, fallo pure ma avrai una vita di stenti”. Forme pensiero delle quali, personalmente, mi sono ripulita ma che vedo ancora parecchio come atteggiamento inconscio in miei colleghi o futuri tali. I miei lavori, appena finiti, li lascio andare perché non mi appartengono più. Sono di tutti, di chi li ha chiesti, di chi li vuole, di chi trova in essi delle risposte, un sorriso, un istante di magia. Questo per me ha senso.

Poi, certo, creare ha anche una valenza terapeutica per me stessa; non a caso spesso scelgo la ripetizione del gesto, che uso come mantra lenitivo. Tuttavia non è la cura di me stessa la spinta che mi porta a creare bensì la volontà di comunicazione con gli altri. Il consiglio che mi sento di dare ai giovani che iniziano un lavoro creativo, è di coltivare con pazienza e lucidità i propri obiettivi, di sviluppare il senso di autocritica, di essere positivi, costruttivi, di non chiudersi al prossimo, di creare in modo sincero, di avere un solido baricentro su se stessi. Credo che il talento sia solo l’1% della faccenda. Ci vuole molto altro.

M. Nella presentazione di uno dei tuoi ultimi straordinari papercraft, in occasione del Salone del Mobile 2014 per l’evento benefico “La donna è mobile?” andato in scena al Fuori Salone, per descrivere la tua “idea ideale” di donna, inizi così: ” Non devi sottovalutarti, soprattutto davanti agli uomini perché l’autoironia va bene fino a un certo punto. Anzi, guarda, sei proprio stupida.”

(cit. Nonna Irene – il vestito “squAMATI” lo dedico a te, la più cinica del mondo, che manchi ogni giorno, che sapevi darmi la carota e la mazzata contemporaneamente e tanto bene. Tua Lela”)

Puoi approfondire per noi e i nostri lettori il tuo senso dell’essere donna oggi, la differenza con l’esserlo ieri, l’eredità di pensiero che ti ha lasciato tua nonna, e come tutto ciò si trasforma in arte e influenza i tuoi sogni, i tuoi obiettivi e il tuo modo personale di intendere la vita, passata e futura, sia professionale che non?

E. Il tema della donna è a me molto caro ma non è certo in senso femminista o politico che lo intendo. Semplicemente io amo le persone, tutte, al di là del loro credo politico, religioso, del sesso, della cultura o dell’estrazione sociale. Per me quelle sono cose inesistenti. Per mia naturale propensione, ho sempre osservato con un occhio psico-sociologico-analitico ciò che mi circonda e tutto si trasforma poi in ispirazione.

Sono arrivata alla consapevolezza che non esistano molte differenze in termini di evoluzione femminile rispetto al passato. Credo ci sia, fin nel DNA, l’egregora della donna colpevole sempre e comunque e che di quello ci si debba liberare. Se esci dai ranghi di madre/moglie e persegui i tuoi obiettivi individuali, magari ottenendo anche dei risultati o del potere, sei vista con sospetto.

Figure come quelle di Maddalena e Maria, sono state strumentalizzate per definire due ruoli, per alimentare l’arma del senso di colpa, strumento potentissimo di manipolazione delle masse. Una faccenda abbastanza seria e che io contrasto con tutta me stessa, con quello che creo e con quello che scrivo, nel mio piccolo.

Le donne della mia famiglia hanno molto influenzato la mia essenza e quindi anche le mie scelte e la mia vita professionale perché sono state donne libere nel senso profondo del termine, emancipate, coraggiose. Mi hanno insegnato a saper guardare le cose da un’altra prospettiva, a saper ridere anche nei momenti più duri. Anche le donne del futuro mi insegnano tantissimo: osservo le mie due nipoti di 5 e 2 anni e faccio rivivere in me il senso meraviglioso dell’essere donna senza limiti mentali.

elena borghi per trussardi

 

M. Hai lavorato in questi ultimi mesi per nomi anche altisonanti della moda, da Erika Cavallini semi couture, con una splendida installazione artistica allestita durante la Milano Fashion Week donna 2014, hai fatto da cornice con le tue opere d’arte sinuose ed eleganti alle superbe e ultra femminili creazioni di Sergio Rossi, ridisegnato il leggendario logo del levriero di Trussardi in occasione del Pitti Bimbo, fino a collaborazioni con cult come la mitica boutique meneghina Cavalli e Nastri e nello specifico con INKANTO, una limited edition per la casa.

Ci racconti più nel particolare i retroscena dei tuoi -bellissimi- lavori artistici, come nasce e si sviluppa per te il processo creativo, e le emozioni che provi prima del grande momento del lancio per il pubblico?

La cosa stupenda per me è venire scelta da persone che lavorano con tenacia, serietà, competenza, onestà, per creare brand di successo, credendo in un sogno e cercandone di nuovi. Volendo presuntuosamente evidenziare un mio punto di forza, credo di saper interpretare un brand nella sua identità più profonda, senza imporre il mio ego, ma valorizzando qualità che a volte neanche il brand stesso ha ben chiare. Ovviamente non è il caso dei nomi affermati con i quali ho collaborato ultimamente che, di contro, hanno ben chiaro chi sono ma hanno la volontà di vedersi raccontati da un occhio diverso.

Nel mio approccio credo ci sia rispetto e correttezza verso chi mi chiama che, di fatto, racchiude in sé tutta la linfa vitale che fa germogliare le mie idee. Anche se il mio lavoro sta prendendo, sempre più, correnti artistico- installative, la mia natura di scenografa non mi fa mai dimenticare che il brand che mi chiama è il mio mecenate e che il mio lavoro deve essere valorizzare e non prevaricare. Poi, certo, io tendo a richiedere la libertà e un piccolo salto di fiducia ma sono lussi che pretendo solo dopo aver trasmesso sicurezza e aver dato la certezza che ci si possa divertire insieme.

Prima del grande momento del lancio nel pubblico mantengo serenità e calma, traguardi che ho conquistato con l’esperienza. Non sono mai stata una persona incline all’ansia e devo dire che, a questo punto della mia carriera, non c’è più nulla che mi spaventa.

M. Ci sono brand con cui sogni da sempre di collaborare, quali?

Sogno di continuare a lavorare con brand coraggiosi, audaci, capaci di attuare la regola darwiniana del “Non è la specie più forte a sopravvivere e nemmeno quella più intelligente, ma la specie che risponde meglio ai cambiamenti”. Aziende e persone che capiscano il valore del manufatto, che scelgano l’idea creativa di qualità, che riconoscano il lavoro artistico come un valore aggiunto, anche in termini economici.

 La storia del “lavora per noi gratis in cambio di visibilità” francamente ha stancato e non ha neanche più molto senso perché, se un’azienda affermata mi chiama vuol dire che in me riconosce una persona valida quindi perché pretendere il mio operato a titolo gratuito? È uno scambio paritario dove tutti dovrebbero uscirne contenti e vicendevolmente orgogliosi. Certo, poi la gavetta ci sta tutta e deve essere affrontata con grande umiltà ma, nel mio caso specifico, ormai ho 29 anni più 10, lavoro da quando ne ho 15 con esperienze legate alla scenografia a 360° e posso tranquillamente dire che il mio è un lavoro, non un hobby e in quanto tale deve essere giustamente retribuito.

M. Tu sei un’artista prima di tutto e lo dimostra il tuo percorso, non hai mai rinnegato però il tuo lato da scrittrice barra “blogger”, tanto che ancora curi personalmente su elenaborghi.com spassosissime rubriche come l’egregia “Non ci vedo bene ma ci sono, posta del cuore a Dio”; non mi resta quindi che chiederti una tua personale opinione sull’evoluzione del mondo social, del blogging e del fashion blogging oggi, cosa è cambiato, esiste per te un’ipotetica formula alchemica per il successo; è una via professionale che consiglieresti?

A nove anni ho cominciato la stesura di novelle che inventavo e alle quali abbinavo un’immagine che disegnavo. In pratica facevo la blogger solo che usavo la carta e non il web. Quando ho fatto l’esperienza come blogger per Mondo Donna è tornata fuori questa passione con una forza dirompente, quasi totalitaria. Scrivere quotidianamente, sette giorni su sette, mi ha obbligata all’impegno creativo quotidiano e mi ha costretta al confronto con me stessa, senza sconti, con durezza, ma senza dimenticare l’impegno verso il prossimo, con una generosa dose di abnegazione, pure.

Ogni lavoro fatto bene comporta una vita molto più dura di quello che s’immagina. Così è anche la vita della blogger, specialmente quando scrive contributi originali con un taglio personale.

Quell’esperienza mi ha dato tantissimo umanamente e ho capito quanto le regole web possano fare la differenza in termini di visibilità, se usate bene. Ogni giorno dedico ore al mio lavoro su social e blog, anche se finisco a mezzanotte quello di scenografa. Ci vuole impegno e cura in tutto. Credo che la figura del blogger sia nata anche come risposta libera e intellettualmente onesta a un certo tipo di giornalismo fatto di favoritismi e marchette. Mi dispiace vedere quando questo valore si perde nelle solite dinamiche.

Trovo coerenti con la propria scelta professionale quei blogger che trasudano la loro sincera onestà intellettuale, senza filtri, senza schemi, capaci contemporaneamente di leggerezza e profondità, che siano stimolanti per il lettore, preparati e attenti a dare il giusto valore alle cose, sentendo, ogni volta che postano, anche un po’ il peso della responsabilità che ciò comporta, seppur dimenticandosene.

Chiedersi: “Quello che sto scrivendo può fare la differenza anche solo per una persona?”; se la risposta è NO rifare tutto e ricominciare dall’inizio. Non concepisco quei portali che si definiscono d’informazione ma che, in realtà, sono solo spazio a banner pubblicitari, privi di contenuti se non addirittura con contenuti svilenti. L’unica formula alchemica che posso consigliare è ascoltare la musica che ognuno di noi porta dentro di sé e decidere di suonarla, al di là di tutto, al di là di tutti. Scegliere chi vuoi essere, che vita vuoi e perseguire i tuoi obiettivi, liberamente e nel rispetto altrui. Riuscirci corrisponde ad avere una vita di successo, secondo me.

M. Hai qualche preziosa dritta per evitare errori di percorso o fragorose delusioni?

E. La mia vita è costellata di errori e delusioni che ritengo fondamentali per la persona che sono oggi. Ognuno deve attuare il proprio percorso anche in questo senso. Tuttavia una delle cose che ho capito è che se a quarant’anni hai combinato qualcosa nella vita, la società ti riconosce ancora come giovane. Se non hai combinato nulla, allora sei vecchio.

 

M. Parliamo ancora di moda, e nello specifico: del tuo armadio. Quali sono i tuoi capi must, insomma quelli che devi avere sempre a portata di guardaroba?

Preferisco comprare pochi pezzi a stagione ma che siano significativi per me aka: o mi innamoro follemente oppure i soldini li tengo per altro. Non sono una vittima dello shopping, ho sempre amato il vintage anche da ragazza (se penso che gli anni in cui ero ragazza io ora sono considerati vintage, sto male!), amo la sensazione di avere qualcosa di unico, mescolare il vecchio al nuovo.

I miei capi must sono vestiti che mi facciano sentire bella anche quando sono uno straccio, che accentuino i miei punti forza e nascondano i miei difetti, che incarnino la mia personalità e il mio umore del momento. Entrando nello specifico della tua domanda, suggerisco a ogni donna di avere un vestito rosso nell’armadio: alza l’autostima in modo esponenziale ogni volta che lo indossi. Se non l’hai mai fatto, prova e fammi sapere come ti trovi.

M.  L’effetto placebo di un meraviglioso abito rosso è  indiscutibile, come quello di un bel paio di tacchi dodici. A proposito, a che accessorio invece non potresti mai rinunciare?

E. Non sono legata a nessun accessorio in particolare. Più che altro credo che qualunque cosa io indossi debba essere il giusto compromesso tra chi sono e la situazione nella quale mi trovo.

Per esempio: non mi piace chi viene a una riunione di lavoro non curando l’abbigliamento se, nello specifico, percepisco che c’è una forzatura, che lo fa per essere “alternativo indie a tutti i costi” e non perché è veramente e genuinamente così. Anzi, chi è veramente diverso non lo ostenta perché non è vittima del sistema. Il rispetto e l’amore verso le persone che ci circondano è espresso anche dalla cura del sé. La trovo una forma d’intelligenza e maturità.

M. E per quanto riguarda i più giovani designer, c’è qualcuno nel tuo mirino?

E. Fortunatamente i marchi di moda per i quali lavoro incontrano sempre anche i miei gusti estetici quindi amo moltissimo la poetica di Erika Cavallini, la tradizione pellettiera di Trussardi, il vintage rivisitato di Moschino, la sofisticata teatralità di Sergio Rossi, il vintage super selezionato di Cavalli e Nastri o la sapiente artigianalità di Castor, Lubiam, Pasotti. Sono tutti marchi che mi entusiasmano e che indosso con piacere.

Sogni che vorrei nel mio cassetto sono Valentino (l’ultima sfilata mi ha fatta emozionare) e Ulyana Sergeenko, una stilista russa già affermata che apprezzo moltissimo.

M. Ci saluti con una delle tue citazioni preferite?

E. Mio Nonno Lino dice sempre: “Sempre avanti e mai paura”. È quello che cerco di fare.

Per tutte le informazioni dettagliate sul portfolio dell’artista, potete visitare il sito di Elena. Ecco alcune immagini delle meravigliose opere d’arte di Elena Borghi:

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