Me lo sono chiesta innumerevoli volte in questi mesi. Prima per me, poi per le persone che ho accanto. Cosa resta di noi, dopo tutto? Dopo la malattia, la crescita, il bisogno di evolversi rispetto al modello ricevuto, il confronto con gli altri, le difficoltà dell’esistenza, le sfide del quotidiano. Dopo l’amore e dopo il dolore. Dopo le fatiche e il mettersi in gioco. C’è chi ha il lusso di vivere la sua vita senza chiederselo mai, e lo chiamo lusso perché provo una punta di invidia per chi non si cruccia, per chi si sente arrivato anche se si trova alle prime caselle del tabellone, per chi ha la capacità di non vedere al di là del suo naso e vive bene nei suoi panni, senza curarsi mai di quelli altrui. 

Vorrei, ma poi anche no; mi piace essere la versione migliore di me stessa, mettere in atto quella capacità cosi faticosa, ma gratificante, di vedersi da fuori e pensare che certe cose possono essere fatte o dette, meglio ed adoperarmi per raggiungere quel risultato. Mi piace immensamente crescere e vedere dietro di me il punto di partenza sempre più lontano, non solo anagraficamente parlando, ma sotto tutti i punti di vista che mi hanno vista nascere. Ho fatto un percorso di cui vado estremamente fiera, conscia di aver imparato per somiglianza, ma anche moltissimo per contrapposizione. Vedo gli errori umani degli altri con quella compassione che me li rende vicini, ma ben a fuoco. Vedo con estrema lucidità le decisioni giuste, le parole ben dette, le intenzioni pulite da cui ho tratto infinitamente e, come un bilancio di fine anno, ho scremato il rumore di fondo per restare in ascolto della melodia nascosta. 

Cosa resta degli altri in noi? Cosa resta di noi negli altri? Quante persone ho deluso? Quante ne ho rese felici? Quante mi ricordano con affetto sincero? Quante ne ricordo io con vero affetto? Le domande mi si affollano e rispondere sembra impossibile quando sei immerso nei punti di domanda. 

La morte, le operazioni, il rischio di vita mi hanno tolto un filtro di fronte. Mi hanno resa più determinata a cercare la serenità, il buon senso, la pace, la felicità delle persone che mi amano. La vita è strana, imprevedibile, difficile. Viverla in guerra è la decisione peggiore che possiamo intraprendere, mettersi da parte per gli altri è ancora peggio. Non piaceremo mai a tutti, non renderemo mai tutti felici, non saremo mai perfetti agli occhi di tutti. Ci vuole un grande coraggio per essere se stessi senza crogiolarsi nel “sono fatto così”: perché la giusta misura è non snaturarsi, migliorandosi un po’ ogni giorno. 

Chiediamo scusa, facciamo un passo indietro se abbiamo sbagliato, insistiamo per il raggiungimento dei nostri obiettivi, non molliamo la presa con le persone importanti, mettiamoci in gioco. 

Fra poche settimane compirò 40 anni e come regalo, mi regalo la vita che mi resta. Non so quanto sarà lunga, se ci saranno altre operazioni ad attendermi, altre ecografie che mi faranno piangere. Ci penserò quando, e se, ci sarà da pensarci. Vorrei viverla con le persone che ho scelto, cercando di rendere serenità e felicità protagoniste delle nostre giornate, viaggiando e ridendo con loro. Esplorando il mondo e tornando nei nostri posti del cuore, quelli che sono solo nostri e di cui solo noi conosciamo il vero valore. 

Vorrei invecchiare lentamente: leggendo prima di dormire, scattando fotografie, mangiando i risotti e la pizza che prepara mio marito, bevendo bollicine fredde, ridendo con le mie figlie accoccolate sul divano e scrivendo, che fra tutte le azioni che penso di saper compiere è la mia preferita.  Cosa resterà di me? Questo, e qualcosa in più che spero porti un sorriso sul viso della persona che mi ricorderà. Magari la mia vita non sarà lunghissima, ma sicuramente mi adopererò affinché sia la migliore che possa desiderare. 

A proposito dell'autore

Ingegnere? Pusher of Enthusiasm Consulente Digitale. Prof Universitaria Fondatrice di TheOldNow.it beauty. book. family. podcast. travel.

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