Riflettere, pensare, respirare.
Ti sei mai fermato un momento, interrompendo quello che stavi facendo per regalarti una piccola porzione di tempo da destinare ad una di queste tre azioni? Quante volte arrivi a fine giornata, stanco e stressato, frustrato dalla quotidianità che ti fa soccombere togliendoti l’aria? Quante volte hai rinunciato per stanchezza, per mancanza di tempo, per carenza di entusiasmo? Hai mai contato le tue rinunce? Ti sei mai domandato in cosa sbagli? Sei mai entrato in quei circoli viziosi che non fanno altro che distruggere la stima in noi stessi e nel nostro lavoro?
A me è successo molte volte. Troppe. Fino a che un giorno ho detto basta e cambiato il corso delle cose. Non ho trovato il Santo Graal e nemmeno la verità di tutte le cose. Non ho scalato una montagna e nemmeno realizzato in un colpo tutti i miei sogni ma ho cercato la chiave per un equilibrio, il mio. Quel sottile filo che congiunge raziocinio e intelletto e cuore e polmoni e tempo e spazio. Collega tutto senza spezzarsi, senza tirare da un lato oppure dall’altro, che sopratutto mi rende felice e mi permette di continuare a camminare senza strattoni, corse e frenate improvvise.
E’ come un lento fluire che mi plasma intorno ed attraverso le cose.
Le cose, proprio quelle cose che una volta mi schiacciavano, quelle che si sommavano sempre le une alle altre, quelle che erano sempre li a guardarmi, a ricordarmi che mancava qualcosa, che mi facevano sentire sotto pelle quella sensazione orrenda del non essere abbastanza. Non essere abbastanza donna, non essere abbastanza figlia, non essere abbastanza compagna, non essere abbastanza lavoratrice. Quel non essere abbastanza che mi tormentava. E di anni ce ne sono voluti tanti per capire che quel non essere abbastanza era solo all’interno della mia mente, delle mie infondate paranoie, del mio metro senza giudizio oggettivo del lavoro. Desideravo sempre di più, volevo sempre di più. Poi un giorno, come un fulmine a ciel sereno, mi sono svegliata e ho pianto. Ho liberato quello che la mia anima stava racchiudendo dentro da troppo tempo, ho sfogato fuori la rabbia, la stanchezza e mi sono ritrovata una donna diversa: consapevole.
Consapevole dei limiti: quelli valicabili e quelli insormontabili. quelli che ti spronano a fare meglio e quelli che non possono essere superati. Ho ribaltato la mia vita tassello dopo tassello, e ho fatto quello che mi ripromettevo da mesi, anni: dare importanza a ciò che davvero valeva la pena e togliere via, piano piano, con un processo lento ma definitivo, tutto quello che avvelenava le mie giornate, i miei ritmi e le mie azioni. Ho tolto il cattivo e lasciato il succo, come quando si ha di fronte un frutto buonissimo: via la buccia ed avanti la polpa.
Tre azioni mi hanno aiutata in questo processo: riflettere, pensare e respirare.
Respirare ossigena i polmoni ma sopratutto il cervello. Farlo all’aria aperta, con un paesaggio davanti che non contempla i palazzi grigi di una città ne uno spazio definito di una abitazione. Respirare all’aperto ed immagazzinare nei ricordi quella sensazione per poterla ripetere mentalmente ogni mattina e ogni sera fino a quando non diventa automatica.
Pensare ai proprio sogni, riempiendo to do list non solo dei doveri ma anche dei desideri di svago, felicità e soddisfazione puramente personale. Pensare alle persone che si amano, ai luoghi che ci portano nel cuore, seppur per i più disparati motivi. Pensare alle cose come se fossero impalpabili, come se costituissero solo gli strumenti attraverso i quali siamo felici.
Riflettere su me stessa. L’analisi di noi stessi è la chiave essenziale per la rinascita, per diventare ciò che desideriamo essere, per migliorare le nostre facoltà, per sviluppare capacità ancora a noi ignote. Forse è proprio per questa ragione che ho lasciato il riflettere come ultimo, in quanto importante al punto da essere essenziale. Perché senza riflettere su noi stessi, senza analisi interiore e senza essere critici nei nostri confronti non possiamo diventare persone migliori di quanto già siamo.