Prima di diventare mamma pensavo che la felicità non avesse un nome. Pensavo che fosse un insieme di stati d’animo, di momenti, di cose che si allineano e formano una linea, un sentiero, una direzione.Pensavo che la felicità fosse nascosta nelle piccole cose di cui dovremmo andare sempre in cerca. Pensavo fosse un attimo, che dobbiamo imparare a conservare dentro di noi per i momenti più duri e complessi della vita.
Pensavo e ripensavo al concetto di felicità.

A come è diverso il tempo che restiamo felici rispetto a quello in cui non lo siamo. Quando siamo tristi può durarci per giorni, possiamo piangere senza finire mai le nostre lacrime, fino a che i singhiozzi non diventano così tanti da toglierci il respiro e far sobbalzare la nostra anima. Il dolore può essere lancinante e persistente. La felicità, invece, sembra impalpabile come le ali di una farfalla ed effimera come la luce e il calore di un fiammifero che si esaurisce in pochissimo e lascia il ricordo.
La felicità non ha un sapore ben definito. Può sapere di latte e cioccolato, di dolce e salato, di cose buone fatte dalle mani che amiamo o di qualcosa che arriva all’improvviso. È sconosciuta, selvaggia ma allo stesso tempo fa capolino anche nella routine più collaudata. La felicità non ha nome, dimensione e colore. Non ha tempi imposti ne giorni di preferenza. Ha solo voglia di prenderci per mano e farci sorridere, ancora una volta.
Ora, che sono mamma, penso ancora tutto questo ma ho capito che, per ciascuno di noi, la felicità assume anche nomi diversi.

E per me, la felicità porta il doppio nome Gaia Giada.

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