Celebrare le nozze tra Moda e Architettura è possibile solamente se il celebrante è Iris van Herpen .
E’ un matrimonio che “s’ha da fare” e pochi sono stati capaci di renderlo magico: in questo obiettivo le mani e la creatività della stilista olandese hanno congiunto per sempre due espressioni d’Arte nel più felice dei rapporti nel quale niente sarebbe stato possibile senza la reciprocità, un concetto che sottintende conoscenza dell’altro, rispetto e curiosità verso l’inconosciuto.
Le forme sinuose degli abiti di Iris non possono esistere senza un background personale così intenso, e dalla danza alla Moda il passo è stato spontaneo, cercato, desiderato e temuto; senza la propria ardimentosa ricerca Iris non sarebbe stata giustamente annoverata come membro della Parisian Chambre Syndicale de la Haute Couture, una costola della Federazione francese della moda: la designer ha avuto accesso alla tavola rotonda più prestigiosa, a quella elitaria stanza del comando in cui si fa letteralmente la Moda, del presente e del futuro.
Prima allieva del compianto Alexander Mc Queen, poi direttrice del proprio laboratorio in cui ad aghi, fili e trame classiche si sono aggiunte le stampanti 3d; alle sarte si sono affiancati tecnici e marchingegni, anche provenienti dal CERN, che hanno definito una nuova era, quella tech couture, del processo distopico in cui le macchine hanno affiancato l’uomo ma senza sostituirlo perché vige l’inattaccabile concetto di reciprocità. Nel suo atelier è in atto un nuovo processo creativo, un immaginabile lavoro di costruzione il cui prodotto finale sono materiali nuovi, inesistenti ma effettivamente applicabili, vivibili e indossabili.
Alla base, oltre alla ricerca quasi fantascientifica, c’è l’idea del movimento che può creare forme nuove attraverso la fusione delle stesse con i nuovi materiali in una continua interrogazione sulla storia di ieri e del futuro, nella saggiata conurbazione tra artigianalità e innovazione: è solo in questo modo che si possono definire i canoni di una couture che ha tradotto Iris in un oggetto di venerazione pubblica quando, nel 2015 ad Atlanta, l’ High Museum of Art le ha dedicato una retrospettiva che analizzato e spiegato la poetica “vanherpiana”attraverso 45 abiti scelti tra le sue collezioni a partire dal 2018. La biomorfìa di Iris è materia di studio proprio perché ha rotto i canoni iniziando un innesto favoloso e fruibile che ha sedotto, e ciò non sorprende, artiste come Lady Gaga e Bjork.
Ogni collezione è battezzata con un nome o un’espressione che riassume l’ispirazione creativa ed è sintomatica di una mente poco canonica e veramente rivoluzionaria in cui si mixano acciaio e seta, magneti, polvere di ferro e resina. Voltage, nel 2013, è terminata con un saettare di scaglie elettriche; in Sejaku Iris van Herpen ha affrontato la cimatica, la teoria dello studioso svizzero Hans Jenny, secondo cui il suono è capace di costruire la materia attraverso le onde sonore che, visualizzate come strutture geometrici, formano schemi la cui complessità è direttamente proporzionale all’aumento della loro frequenza. L’ultima, Ludi Nature, è un inno alle forme fitomorfe, alla riproducibilità delle stesse attraverso un gioco contemporaneo d’intersezione di tulle e materiale tecnici.
Iris van Herpen è un nome, un progetto, un’anima irrequieta che viaggia più velocemente degli altri, rompe il “muro della couture” provocando quel boato che è stordimento e agitazione; Iris van Herpen è distopia della Moda, è divinazione della sartorialità moderna.
Articolo scritto e redatto da Ciro Sabatino | Tutti i diritti sono riservati