Una carriera quasi ventennale nella musica, sia da dj nei locali che da produttori musicali con 8 album all’attivo, i Waxkillers sono un punto di riferimento per conoscere lo stato dell’arte della scena dei club, soprattutto milanese, e della musica hip hop.

Per l’occasione abbiamo incontrato Frankie, uno dei membri dell’ensemble, nel suo piccolo studio di registrazione milanese per una chiacchierata a ruota libera.

Quali sono gli ultimi progetti su cui state lavorando?

“Stiamo portando avanti il progetto “Underground Kings” in alcuni locali dove facciamo esibire le “giovani leve” della scena hip hop, da questa iniziativa nascerà anche un disco dei Waxkillers coi featuring di molti di questi giovani talenti.”

 

L’hip hop pare sia uno dei pochissimo generi musicali che ancora vende.

“Sì, ma c’è crisi anche qui, sentivo di recente un’intervista ai Club Dogo in cui dicevano che si vende sempre meno, una delle poche occasioni di vendita sono gli “in store” con gli artisti che firmano le copie direttamente ai fan. Il cd comunque sta morendo mentre c’è un ritorno d’interesse per il vinile, solo che costa molto produrlo. Pensa che noi Waxkillers ne vendiamo più all’estero che in Italia…”

 

L’Italia può tornare a sfornare hit che abbiano successo anche all’estero come accadeva negli anni ’80, un po’ come han fatto i francesi coi vari Cassius, Guetta, per non parlare dei Daft Punk?

“Un problema di base è che noi italiani non sappiamo fare network e ci costa fatica collaborare. A livello di movimento questo è un po’ un handicap. Abbiamo gente brava come Benassi, Stefano Fontana che cerca una strada tra elettronica ed hip hop, ma ci manca ancora qualcosa.”


Qual è la città trainante, se esiste, nella scena hip hop italiana?

“Una volta t’avrei detto Bologna anche perché aveva case discografiche come la Century Vox. I Sangue Misto, che reputo il gruppo più importante degli ultimi vent’anni, vengono da lì. Oggi è difficile dirlo, a livello di successo verrebbe da dire Milano.”

 

Milano da cui provengono i vari Fedez, Club Dogo, Dargen D’Amico, Marracash ecc.

“Marracash mi piace molto e un altro di Milano tra le nuove leve che trovo molto bravo è Salmo. I Club Dogo son stati bravi a diventare dei personaggi e sulla loro falsariga si son mossi Fedez ed Emis Killa, la differenza è che i Dogo avevano anche una credibilità nell’underground prima di raggiungere il grande successo…”

 

Parliamo invece della scena dei club dove ti esibisci come dj. Cosa è cambiato rispetto a qualche anno fa?

“Innanzitutto i cachet, che sono diminuiti, sia per la crisi economica che per la grande concorrenza. Poi la tecnologia ha ampliato la platea dei dj perché aiuta, a livello tecnico, chi non ha grandi capacità, anche se non può fare nulla a livello di gusto e conoscenza della musica, io sono uno che va a cercare i dischi (ho quasi 6.000 vinili) anche all’estero in negozi improponibili, ma siamo in pochissimi a farlo.”

 

Molti fanno il dj come secondo lavoro mentre per te è l’attività principale.

“Sì, anche se in Italia, a meno che tu non sia uno molto famoso, ti guardano un po’ storto se dici che fai il dj per mestiere. Rimane comunque un lavoro che affascina, tanto è vero che è nato anche un talent show come “Top DJ” e poi è un mestiere che mi ha dato la possibilità di suonare assieme a gente come Steve Aoki, con cui feci un dj set tre anni fa all’Eleven di Milano (dove ogni tanto suono alla serata Flow della domenica) perciò non lo cambierei con nessun altro lavoro.”

 

Articolo scritto e redatto da ANDREA FERRARI | Tutti i diritti sono riservati